...poi prese la parola il valoroso Orazio,
della porta custode:
“Per ogni uomo su questa Terra,
la morte giunge presto o tardi.
E come può meglio morire un uomo
se non affrontando alti rischi
per le ceneri dei suoi padri
e per i templi dei suoi dèi?”

Churchill, nella metropolitana di Londra, recita un discorso epico tratto dai Canti di Roma Antica di Thomas Babington Macaulay.

Creando ordine dal caos, i racconti possono avvincere e divertire più delle storie vere, riuscendo a volte a penetrare i recessi più intimi dell’animo umano o, come in questo caso, riuscendo a emozionare mettendo in scena personalità diverse, impegnate a districarsi di fronte alle sfide della vita.

Infatti, nella vita gli eventi si susseguono e scorrono alternandosi l’uno all’altro, si sovrappongono e giustappongono; quando ancora un evento è di là da terminare, un altro inizia e ne porta con sé altri, così, azioni, persone e luoghi si mischiano e aggrovigliano fino a formare un intreccio quasi inestricabile. Su questo intreccio interviene arbitrariamente un autore che ne individua una logica, scegliendo quali fatti correlare tra loro e cercando di dare un senso al tutto.

Chiarendo che trattasi di questo, ovverosia di mito, a me The Darkest Hour è piaciuto. Si rappresentano alcune vicende che accaddero tra le alte sfere della nazione inglese nel mese di maggio del 1940, in un racconto che utilizza tante fonti storiche, ne tralascia volontariamente altre e, infine, inserisce episodi puramente fittizi.

A introdurci nella vicenda è la descrizione della situazione di pericolo: il 9 maggio Hitler ha già conquistato parte della Norvegia e della Polonia, l’Olanda e il Belgio da cui si appresta ad attaccare la Francia; di conseguenza nei giorni seguenti il parlamento inglese destituisce Neville Chamberlain, considerato inadeguato ad affrontare questa nuova situazione, in quanto principale esponente, insieme ad Halifax, della politica dell’appeasement, ovvero l’accomodamento verso la politica espansionistica tedesca nell’intento di scongiurare un nuovo scontro bellico.

Alle dimissioni di Chamberlain, la maggioranza non gradirebbe Churchill come sostituto, la camera dei lord neppure e il re detesta la sola idea di riceverlo. Il ministro degli esteri Halifax sarebbe per loro la migliore soluzione.

Tuttavia, l’unico politico a poter essere sostenuto anche dall’opposizione è il vecchio Churchill, perciò, sebbene riluttante, il re lo chiama a palazzo.

Con la presentazione del suo protagonista assoluto, si entra nel vivo del racconto.

Buona forchetta, gran bevitore e assiduo fumatore, il suo volto è già celebre: una faccia tonda da neonato con un sigaro in bocca e gli occhiali, anch’essi tondi, sulla punta del naso. Estremamente esigente e dal sarcasmo pungente, se non gli sei amico, incute apprensione e soggezione; coi rivali, coi collaboratori e coi sottoposti è brusco e sibillino, prepotente e sgarbato.

Assente in parlamento nel momento della crisi, conosciamo Churchill nella sua stanza buia e tappezzata di una carta da parati, in un’ambientazione magistrale; un non so che di sdrucito qua e là, dato anche dal fatto che la stanza appare in disordine, stracolma di libri e mobili, tra cui il letto, nel quale Churchill fa delle colazioni luculliane, bagnate col whiskey, mentre alacremente lavora.

Detta e impartisce ordini, burbero e iracondo, mentre lavora, ma in famiglia, si riposa, ascolta, è calmo e gentile.

È infine odiato in patria, persino dal re e nel suo stesso partito. Inoltre, il fedele alleato Roosevelt ha le mani legate dagli atti isolazionisti statunitensi.

In questa presentazione, tutto viene allestito per quella che sembra essere una sfida titanica: solo, deve affrontare il nemico che ha fatto fuori quasi tutti gli alleati sul continente, dove le guarnigioni militari britanniche si sono ridotte a difendere due città costiere: Calais e Dunkerque.

Se mi fossi trovato io in una situazione simile e mi fossi reso conto di ciò che stava succedendo, probabilmente sarei sbiancato. Il respiro sarebbe diventato difficile, per minuti, ore, giorni e settimane: mi sarei sentito soffocare. Un peso tra il ventre e la schiena non mi avrebbe abbandonato mai.

Probabilmente anche Churchill ebbe queste sensazioni per un po’.

Tuttavia, in alcuni il dolore si trasforma in tenace voglia di combattere, mentre in altri si sedimenta e resta lì a convivere con loro.

Se io forse faccio parte del secondo gruppo, Churchill faceva sicuramente parte del primo e un pezzo per volta riesce a reagire all’ora più nera della sua nazione.

In questa fase del film si uniscono nella persona del presidente i due Churchill, l'arguto e temibile politico con il calmo e gentile uomo di famiglia. L'Inghilterra col suo Re e con i cittadini della metropolitana di Londra diventano la seconda famiglia di Churchill.

Questi minuti sono tanto esaltanti, perché ben scritti e recitati magistralmente (ci si emoziona ascoltando i famosi discorsi di Churchill), quanto infarciti di una retorica che mostra un uomo solo riuscire a conquistare pezzo per pezzo tutta la nazione e unirla intorno a sé (e al proprio re).
Così, alla fine, rimane questo, un bel film da vedere per esaltarsi insieme ai protagonisti di uno snodo cruciale della storia europea del XX secolo; tuttavia, probabilmente, la storia va cercata altrove, perché Chamberlain e Churchill sono rispettivamente più di un debole e di un eroe tenace e coraggioso. Poiché, in fondo, siamo adulti, e i ruoli calzano bene nelle favole, ma risultano stretti nella realtà.

Carico i commenti...  con calma