Fragments of a rainy season, favoloso umplugged in solitaria. Voce e piano, voce e chitarra. Nient’altro. "Se non piove pioverà", così il venditore di ombrelli: Impossibile dargli torto, impossibile dirlo meglio.

“Il sole non ci interessa”, così quelli di New York a quelli di Los Angeles, forse era la storia della volpe e l’uva, forse la voglia di ribaltamento tipica dell’arte nuova. E comuque si, la pioggia è più interessante del sole. Sia quella iper artistica, sia quella che infradicia ogni vita.. Ecco perché Fragments of a rainy season è un titolo perfetto. Meravigliosa poi è la parola frammenti, cosa si vede guardando indietro se non qualche sfocato sorriso perso tra polvere e fantasmi?.

"This is a rock group called Velvet Underground", dici in "Stile it takes" ed è un colpo al cuore, sarà che siam velvettiani fino al midollo, sarà che la prima volta del disco banana risale a quando avevo ancora i pantaloni corti. .

“Style it takes”, ci vuole stile... e io concordo. Si, ci vuole stile. Anche nel caos. Anzi, soprattutto nel caos. O forse, chissà, forse il caos è stile di per sé. Ascolta quel che dico, oh tu che passi, oh tu che mi somigli.

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Una scienza appresa vestendo parole di altri: Lou, stronzetto dalla lingua lunga, Nico, marziana tedesca, nonché bambina, nonché Cassandra. Quei due erano talmente speciali che l’unica cosa da fare era inventare l’equivalente della ruota, fai conto un bagliore sinistro, fai conto “il walzer nel ventre della bestia”. Roba che bisognava avere una specie di luccicanza alla Shining: iper connessione, occhio di lince, orecchio da pipistrello. Senza contare il caldo/freddo che ti entra nelle ossa quando percepisci la vera arte.

Si guardi poi al lavoro con Nick Drake in Bryter layter, solo due canzoni, certo, ma che canzoni. Li nessun eccesso, nessuna decadenza, solo un ragazzo sperduto e magico. Con il Cale touch che offre una chiarezza espositiva quasi sulle nuvole, una classicità fuori dal tempo. Come può una psiche frantumata essere così aerea (Northern Sky)? Come si arriva così nel profondo (Fly)? Ti dirò John, in questi frammenti piovosi ritrovo qualcosa di quel mondo lì, solo che al posto delle nuvole c’è la tua faccia da vampiro di seconda classe. Non importa che maschera indossi, la ballata nuda e cruda funziona sempre.

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E comunque, anche se non lo sa quasi nessuno, delle ballate nude e crude tu sei un maestro. Per tutti sei il classicista invaghitosi del caos, colui che al piano si avvicina sempre con un’ascia o con un martello. Però, e questo bisognerà pur dirlo, tra caos e armonia la forma è diversa, ma la sostanza è la stessa, si tratti del sabba o del ballo delle debuttanti gli invitati son quelli, quelli e non altri. Certo, in questi frammenti piovosi indossano l’abito elegante, ma è un fatto, diciamo così, solo formale, sarà che siete in una sala da concerto, sarà che pure tu sei tutto in ghingheri. Una cosa l’hai capita: di quei tizi non ti libererai mai e allora tanto vale andarci d’accordo, falli accomodare quindi, offri loro qualcosa, cervello e cuore su un piatto d’argento andranno bene, anzi benissimo.

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E tutto quel teatro della crudeltà, tipo quando andavi in scena con una maschera da hockey e cantavi “ready for war”, pronti per la guerra? Oppure quando decapitavi polli morti e il sangue finiva sulle teste di tutti quei giovanottoni punk che poi scappavano a gambe levate?

A quei tempi il backstage era tutto un pullulare di gente sinistra, c’era il tizio che voleva mostrarti la luger fiammante, quello che infilava l’affare in una tagliola, quello che beveva sangue...ci voleva un certo stomaco e quello a te non è mai mancato.

Oggi invece ti presenti con l’aplomb di un Mefistofele che la sa lunga e che ne ha abbastanza per il cazzo e allora io mi chiedo; chi ti ritrovi tra i piedi dopo aver suonato le tue ballate scure? Critici, mitomani, femmine folli? Sai, qui è pieno di sociologi che vorrebbero saperlo e anche loro, mi sa, sono parecchio fuori di testa.

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Ok, la mettiamo giù facile, John è il savio, Cale il pazzo. E se savio/pazzo non va bene trovatemi voi altri due opposti qualsiasi. Nessuno li ha mai visti sorridere, se non una volta e quella volta non era nemmeno il caso. Non si sa chi dei due indossi la maschera dell’altro, sempre che di maschera si tratti. Può darsi che siano la stessa “persona”, poi però dovresti dirmi “persona” che cavolo vuol dire. Alla fine l’ipotesi più probabile li vede come sagome sovrapponibili, fantasmi coincidenti, facciate opposte del fronte retro psichico. Un incastro perfetto, sempre non si faccia caso alla crepa che sporge sull’abisso, deve essere da li che entra quella luce ora angelica, ora sinistra.

E comunque questo individuo, il cui nome è evidentemente John Cale, si avvicina al piano. E’ lugubre, impassibile, “astratto dagli uomini”, roba che mi vien quasi in mente il Cavalcanti descritto da Boccaccio, sarà che non mi dispiaccion gli accostamenti arditi, sarà che lo sta studiando il mi figliolo alla scuolina santa.

“I’ vo come colui ch’è fuor di vita”, merda Guido, merda…

E allora ok, teniamocelo Cavalcanti, che stasera si va di ballate, quindi roba sua, teniamocelo anche perché la parte di Dante se l’è presa quello stronzo di Lou, uno che quando vagava per il Queens tutti dicevano “cazzo, si vede che quel tipo è stato all’inferno”.

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Dove eravamo rimasti?

Ah si, questo individuo, il cui nome è evidentemente John Cale, si avvicina al piano. E’ lugubre, impassibile, “astratto dagli uomini”…

...La voce sa un po’ di caverna, quasi fosse disabituata al contatto con gli altri. Il piano è austero, a tratti martellante, ma nessuno ha intenzione di sfasciarlo. C’è un estetismo da vecchia Europa mai pretestuoso però, mai fine a sé stesso. L’eleganza e la raffinatezza son damigelle che in genere non scendono agli inferi, qui però tocca a farlo.

E poi quella faccia tagliata con l’accetta, angoli, spigoli e via dicendo, la compostezza di un Benedetti Michelangeli che indossa la maschera di un criminale.

E quegli intermezzi quasi classici, robe che giuro accetto solo da lui, l’unico che può infilare quel cavolo di plin plin nelle faccende di noi maldidos, meno male che ogni tanto si urla e che tutto questo far finta di essere nel salotto buono è solo un trucco per far si che il colpo arrivi inaspettato.

E comunque ecco i fantasmi europei di Paris 1919, quelli personali di Music for a new society, la paranoia di Fear...

Che poi, che gli vuoi dire a uno che I’m waiting for the man la suona al piano? Che prende un classico di Elvis e ci fa su un brano di musica da camera? Che ti fa l’arrangiamento definitivo di quella canzone di Leonard Cohen che ormai suonano pure ai matrimoni? E John Cale ai matrimoni fa abbastanza ridere, no?…

Il concerto è finito. Il backstage al solito è un confluire di tipi assurdi. Cosa strana, ci sono pure io, il che non credo deponga a mio favore.

Cale arriva, nessuno parla di armi, terrore psichico e via dicendo, peccato, oh siJohn, peccato, perché, quel che sento è quasi peggio, tutta una prosopopea, tutto uno sproloquio.

Poi in un crash spazio temporale ci ritroviamo tutti nel 1200. Siamo a Firenze, zona sepolcri, il cimitero degli illustri. John Cale non è più John Cale, ma Guido Cavalcanti. Dapprima sorride sornione, poi ci apostrofa così: “signori voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace”. Poi con un puf sparisce in una specie di nuvola.

Attoniti ci guardiamo l’un con l’altro. “Che avrà mai voluto dire?” si chiede uno. Al che io, che Cavalcanti l’ho appena ripassato con mio figlio, non posso che rispondere: “siamo in un cimitero, e se il cimitero è la nostra casa, significa che siamo tutti morti”…

Si lo so, Cavalcanti è un po’ una forzatura. Concedetemi però che Guido e John sono entrambi numeri due, con Dante e Lou che da sempre si pavoneggiano in maglia rosa.

Poi, se proprio dobbiamo parlare di un poeta, parliamo di Dylan Thomas. Tre frammenti piovosi di questo splendido disco sono sue poesie. E allora: “Resta immobile, dormi nella bonaccia, oh tu che soffri con un nodo in gola”, certo John, come no...

Come no...

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