Totalmente estraniante tutto quello che produce il saggissimo Jon Hassell. Eccelso trombettista ed esploratore di suoni, ambienti e tecniche, la world music deve la sua esistnza alla grande lungimiranza di questo artista, amico di Czukay dei Can e collaboratore con Eno e Riley nel celebre "In C". Ammaliato dai suoni latini, africani e promotore di un tribalismo vicinissimo al raga, in alcuni tratti l'armonia emana tratti quasi solenni.
Nell'anno punkettone 1977 questo genio si addentra nell'Africa, nell'Amazzonia nera della mente e concepisce "Vernal Equinox", un sabbah della world music. Assurde le sonorità, del tutto fuori dal comune, evolvono la miscela acida flautistica di "Alpha Centauri" dei Tangerine, il faraone dei Popol Vuh e il cocktail colorato di "Tago Mago". E' notevole quello che esce da questo album, e ciò è sereno, non ci piove. Ma più occulti sono i minimissimi elementi, le piccole sfumature e l'essenza di ogni singolo suono che produce "Vernal Equinox".
L'inizio con "Toucan Ocean" è già del tutto pittoresco. Spiriti indigeni ci danno il benvenuto in una landa misteriosa di immaginifici animali, insetti, alberi e surreali atmosfere. Questo sarebbe assurdo immaginarlo se ci sarebbero a suonare il Gabriel di "In Your Eyes", Byrne o Eno. Sarebbe l'Eden della Musica. Un "My Life In The Bush Of Ghosts" scosso in un cocktail colorato con i Third Ear Band. "Viva Shona" però interrompe subito l'estatico intro e a dialogare con la nostra mente/orecchio sono astrusi cinguettii di tromba e sbalzi di umore dei suoni celestiali. Ma una scossa nella foresta ci sorprende, di punto in bianco ci catapultiamo nella notte, nell'occulto del voodoo e un senso di oppressione si fa strada. La tribale "Hex", condita da tablas e una tromba estasiata, ci segna l'imbrunire del giorno e ci adattiamo all'assetto primitivo, primordiale del suono. Quello che trasudano queste note sono traiettorie che emettono disegni nell'aria, incarnano boschi, foreste e le montagne Peruviane. E non c'è più altro bel lavoro per la mente.
La notte ci sorprende nella spiaggia e nel mare che si sono creati nei nostri occhi e ci inseguono i giri nevrotici di basso di "Blues Nile", con gli urli della tromba, del tutto sospesa ed emanatrice di note sulfuree. La titletrack poi è la ciliegina sulla torta, con il suo Oriente nel synth e la struggente performance di Jon, che raggiunge picchi divini, mistici. Un'ambientazione che l'orecchio deve assolutamente vivere, altrimenti non si conosceranno le isole sonore dell'universo.
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