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DE-GO!
Risultato della ricerca: DE-Sorry - Non abbiamo trovato nessuna recensione.
(Come riuscirete certamente a capire voi stessi, gli avvenimenti che seguono questo breve avviso sono naturalmente fasulli, ma esprimono bene lo stato d’animo in cui mi trovavo).
Dopo questa sconcertante notizia, l’unica cosa che sentì mia madre fu un “NOOOOO!” disperato seguito da un sordo tonfo sul pavimento, che la destò bruscamente ed improvvisamente dal letto.
Mi trovò disteso per terra, in preda ad una terribile crisi di coscienza accompagnata da fenomeni epilettici.
Già, perché che su De-Baser non ci sia nemmeno una recensione dei mitici Judas Priest è davvero una gran bestemmia, soprattutto se a non farla sono stati i metallari.
Quindi, mi appresto prontamente a rimediare il danno e a rattoppare il buco, recensendo questo “Painkiller” del 1990, probabilmente il più espressivo ed importante capolavoro dei tanti capolavori del gruppo di Birmingham, che fortunatamente nascondevano altrettanti strafalcioni.

Per comprendere appieno l’importanza del disco in questione è però necessario analizzare la situazione in cui i Priest, unanimemente considerati i Fondatori dell’Heavy Metal (già dal debut album “Rocka Rolla” del 1974 il sound era, infatti, decisamente più pesante di quello d’altri gruppi Hard Rock come Black Sabbath, Deep Purple e Led Zeppelin, il trio della musica pesante dell’epoca).

1990: dopo il deludente “Ram It Down”, probabilmente il peggior album della loro lunghissima e fenomenale carriera, i Priest non venivano più presi in considerazione dai Classic Metal fans dell’epoca, che guardavano con rimpianto ai vecchi capolavori della band, quali “Sad Wings Of Destiny”, ”Sin After Sin”, ”Hell Bent For Leather”e i più recenti “Screaming For Vengeance” o “Defenders Of The Faith”. Proprio a causa della scarsa ispirazione tecnica e dell’attrito che si era creato tra i cinque amici, il batterista Dave Holland dichiarò ufficialmente la sua dipartita dalla band, giustificandosi con un generico “altri impegni” et similia.
Robert Halford e company non si diedero però per vinti, e si misero subito in cerca di un altro batterista.
Dopo lunghe audizioni e ripensamenti fu scelto il grandissimo Scott Travis, senza dubbio il miglior batterista che i Priest (e il Classic in generale) abbiano mai avuto. Compatto, tecnico, preciso e veloce, l’ex membro dei Racer X (gruppo di cui ho sentito affermare che abbia un gran bassista di cui però non ricordo il nome) fornì una nuova marcia alla band, portando una piacevole ventata di selvaggio doppio pedale.
Ritrovata la capacità tecnica e l’ispirazione, i Priest si chiusero in uno studio di registrazione francese per suonare tutti insieme quello che sarebbe diventato il loro ultimo, vero grande capolavoro (data la recente reunion di Halford coi Priest, spero ardentemente che “Painkiller”non sia proprio l’ultimo, ma vedremo), un disco d’enorme importanza non tanto per l’Heavy in sé quanto per la band stessa e, ovviamente, per i fans, spiazzati da così tanta buona musica arrivata proprio quando meno se lo aspettavano.

Ma passiamo all’album…
Il cd si apre alla grande, con una selvaggia e trascinante “Painkiller”, la title-track che dimostra già da subito le grandi capacità tecniche di Travis e il super lavoro di chitarra di Glenn Tipton e K.K. Downing (che, come ai vecchi tempi, ”dialogano” che è un piacere). Gente, siamo di fronte ad una delle migliori canzoni mai scritte, giustamente coverizzata dal grande Chuck (R.I.P) dei Death nel suo ultimo lavoro “The Sound Of Perseverance”, una cover magnifica a mò di tributo a questa gigantesca band.
Le canzoni che seguono (“Hell Patron”, ”All Guns Blazing”, ”Leather Rebel” e l’epica “A Touch Of Evil”, per elencare le migliori) sono della stessa, altissima qualità, e dimostrano che i Priest hanno ancora molto da dire.
Ripeto, ottimi lavori di chitarra e batteria (secondo me, Tipton e Downing sono i migliori chitarristi in assoluto del Classic Metal, e Travis è veramente un drummer esemplare), un Halford assolutamente in forma e all’apice delle sue immense capacità (e solo questo sarebbe sufficiente a farvi acquistare il cd…), nonché un Ian Hill che, sebbene leggermente trascurato, offre un’ottima prestazione, confermandosi al vertice della mia classifica dei bassisti “plettrati” (ascoltate la pulizia che hanno i suoi suoni e ditemi se ho torto…).

Insomma, un cd contenente solamente gemme di purissimo Classic Metal, suonate sublimemente da quelli che sono, probabilmente, i migliori musicisti/compositori che il Classic abbia mai avuto.
Magari i testi non saranno proprio il massimo (sempre con ‘sti mostri di mezzo…) ma sono una nullità in confronto al materiale qui contenuto, che è stato eletto da me stesso “Pane quotidiano per chiunque si definisca metallaro!”

Credo che abbiate capito, insomma, che star qui a leggere questa stupida rece sia solo uno spreco di tempo, in quanto potreste essere già nel negozio di dischi a pagarlo...
Allora? Che aspettate?

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