DAL VANGELO SECONDO KANYE
Anche se..
.. per K non esiste essere secondo, nè a Drake nè a nessun altro. Anche se hai fatto un album che non rappresenta la tua punta di diamante, perchè di fatto ritieni che la tua vita non è alla punta del suo diamante (bisogna poi vedere cosa intenda Kanye per vita all’apice); anche se più che un album, è una storia lunga e articolata, un mantra di 27 tracce che esplode qui e lì, che non urla di novità, ma implode di epicità, esplicito e sfacciato legame indissolubile con l'artista in questione che troneggia sulla qualità e la ricercatezza con una spocchia ineffabile. Kanye e il suo ultimo album rappresentano quanto l’artista si allei con la sua arte, la realizza concretamente nell’impresa importante di alimentare costantemente, come un fuoco sulla spiaggia, il suo alone di grandezza in mezzo ai suoi colleghi, agli occhi dei fan e del pubblico, tanto da diventare lui stesso la divinità di cui parla in tutto l’album, tanto da voler diventare lui stesso un punto di riferimeno per se stesso, ma anche per gli altri. Possibilmente senza essere messo in discussione.
Donda ci piace ma è tosto, il concetto dietro è tosto, la storia dietro è tosta, ascoltarlo è tosto, ma è sempre Kanye, ha una grande storia da raccontare, in questo contesto collegata a un evento della sua vita privata. E nel suo privato, è diventato grandemente pubbico, in una continua e proficua osmosi tra le due sfere.
Donda è un album nero, che non chiede il permesso di essere ascoltato, che non si concede, ma questo è, se vi pare (e piace). Il nero non lascia spazio all’imaginazione. Il nero non ti fa pensare. Il nero ti schiaccia, un blocco di cemento, fine tragica di un’esperienza piena di colori che si mischiano insieme, si contaminano, fino a perdere la loro singolare identità e tonalità, fin al punto di annullarsi completamente ed implodere nella cancellazione del senso, diventando nero pece, buio, assenza di luce, di percezione e visibilità. Donda, uscito lo scorso 29 agosto firmato Universal dopo due anni di attesa, si presenta così, una copertina nera che racchiude un significato esistenziale, un lutto, una perdita difficile da colmare, cioè quella della signora Donda West, mamma, fan, manager del rapper statiunitense. Un racconto lungo, una discesa negli inferi di una testa che sprofonda di ben 27 tracce sotto il livello del mare. In superfice, una litania di 52 secondi, la prima traccia dell’album, una ripetizione incessante del nome della madre, Donda, come se fosse necessario imprimere nella memoria quel nome, fare in modo che ci sia, sempre; la ripetizione è propria delle preghiere, dei rituali, che in qualche modo si basano sulla “cosificazione” della parola: un rito ha un senso nella misura in cui le parole diventano azione, una preghiera è tale se viene ascoltata e in qualche modo si realizza, e la ripetizione è essenziale nel processo di creazione. Donda è una preghiera incessante e faticosa, apre questo disco, apre l’angoscia; la produzione è al servizio di cori, suoni, parole che si susseguono come se leggessero il dramma che vive un figlio che perde la propria mamma, che in qualche modo cerca di capire come avrebbe potuto fare per evitarlo.
Jail è la vera prima traccia del disco, un destino che non si può cambiare, una prigione a volte mentale, interna, che si concretizza in un urlo di liberazione, una traccia motivante, incalzante, una corsa verso un traguardo: Don’t try to jail my thoughts and think precincts / I can’t be controlled with programs and presets. Il pensiero di una divinità che allevia il tormento di vivere in questo disco è costante, ed è anche portavoce di un modo di intendere il rapporto con l’ultraumano del mondo hip hop e rapper, uno scontro e un incontro costante, un rapporto molto genitoriale che è difficile da comprendere dall’esterno, se non si viene dalla cultura afroamericana. Il disco è colmo in effetti di gospel, segno di una fede che Kanye ha ritrovato negli scorsi anni, e infatti non c’è dubbio che nel nero più totale il pensiero di un Dio presente e curatore, allevia le ferite: I know there’s an angel watchin over me. All times, I inhaled and breathed.
L’album è stato anticipato da un evento incredibile che ha permesso a 42mila fans di ascoltarlo in anteprima ad Atlanta, un listening party molto atteso soprattutto per i featuring presenti nell’album: Jay-Z, Pusha-T, Travis Scott, Lil Baby, Baby Keem, Jermih, Pop Smoke. Con brani come Off the grid Kanye racconta la vita, per poi rientrare nell voci ultra effettate e i syntoni anni 80 in Hurricane, feat. The Weeknd & Lil Baby, un’apertura epica, mille vuoti, ritmi serrati, un uragano di suoni e di parole: Finally, I'm free, finally, I'm free / As I go out to sea / i can walk on water / Won’t you shine your light? / Demons stuck on my shoulder / Father, hold me close, don’t let me drown / I know you won’t. E arriva poi la traccia che trasporta come una croce sulle spalle questo costante sentimento religioso incredibilmente forte e assillante in alcuni punti, Praise God, “Lode a Dio”: Even if your are not ready for the day, it cannot always be night. La traccia inizia con un campione di parole proprio di Donda West, che recita parte di una poesia di Gwendolyn Brooks, che nn è una qualsiasi, ma la prima poetessa afroamericana a vincere il Premio Pulitzer nel 1950. Le parole sono un esorto a vedere al di là della difficoltà della vita, a guardare a un oltre, Dio, che permette di affrontare le difficoltà - Kanye in questo si sente liberato e più leggero nel percorrere un territorio sconosciuto e insidioso com’è quello della sua vita. Jonah, Ok Ok, Junya, influenze gospel, racconti di vita, fino ad arrivare a Believe Waht I say, aperto dal mix di Ms. Lauryn Hill in Doo Wop, uno dei pezzi più trascinanti del disco. I toni poi si distendono in tracce come Remote Control e l'aria si ammorbidisce in Moon, che fa un po' da spartiacque nel disco tra la prima e la seconda parte, per poi arrivare alla traccia di Donda nel cuore dell'album che esprime le parole della mamma nei confronti del figlio, anche qui grande esperienza mistica di rapporto con la madre e l'ultraterreno, voci che risuonano in un coro gospel che si apre verso l'alto. Jesus Lord, Lord I need you, continua, e il lungo dialogo-monologo con se stesso termina poi con delle pt 2 di 4 brani.
A questo punto sembra che Kanye ci abbia detto tutto, ma proprio tutto: potremmo asserire all’unanimità che non si sia risparmiato assolutamente nulla ( e qualcosa se la poteva risparmiare), ma d’altronde sarebbe anche difficile controbattere dopo 27 tracce che obbiettivamente ti sfiancano e possono sporcare la franchezza di un’opinione. Per cui salviamo alcune canzoni veramente ben fatte e trascinanti, un concept album forte sì, ma anche veramente farraginoso; c’è da dire che il tutto acquista senso nella misura in cui questo enorme tutto si piega al cospetto di una figura statuaria che, nel suo essere maestosa nel panorama dell'hip-hop mondiale, non si è tirata indietro dal mostrare al mondo la sua parte più buia (se proprio dobbiamo trovare un faro nella notte, che di notte qua ce ne sta tanta) come solo un diamante di tale caratura può fare, che sia alla sua punta, che sia alla sua base.
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