Per iniziare un po' di storia: i Karma to Burn dopo una lunga gavetta ed un lungo girovagare trovano un'etichetta disposta a metterli sotto contratto, è la Roadrunner. È il 1997. C'è una condizione però, ossia che si trovino un cantante. Eh sì, perchè i nostri sono un gruppo strumentale.
Stoner, valanghe di riff, amplificatori valvolari (mesa-boogie), odio e sarcasmo verso la loro terra d'origine (il West Virginia), droga (molti reputano che si siano sciolti proprio per problemi con essa), alcool.
Questo è l'humus (musicale e non) dovo sono cresciuti. William Mecum (chitarre), Rich Mullins (basso), Nathan Limbaugh (batteria) arruolarono un loro amico Jason Jarosz alla voce e si rifugiarono sui monti Appalachi a registrare il primo album omonimo. Ne uscirà un lavoro poliedrico con la voce sciamanica di Janosz a contrappuntare uno stoner malato, dark e decadente. Un album che portò i virginiani alla ribalta (relativamente parlando!). Da segnalare in cotanta bellezza una versione di "Twenty four hours" dei Joy Division semplicemente meravigliosa. All'epoca (a ancora oggi a dir la verità) l'album mi sconvolse letteralmente. Lo ascoltai e riascoltai, divenne un'ossessione quasi. Mi informai solo tempo dopo sul gruppo. Avevano cacciato Jarosz (non proprio in modo educato...) mentre il batterista se n'era andato di sua spontanea volontà rimpiazzato da tal Rob Oswald. Ma la notizia che mi fece sobbalzare dalla sedia era che John Garcia (sì, proprio quello dei Kyuss) provava con loro da circa un anno. Poi sfortunatamente per problemi contrattuali e non solo la cosa non andò in porto. Fu lo stesso singer dei già disciolti californiani che in un'intervista disse che non sarebbe entrato nei Karma to Burn ma aveva in mente di formare una nuova band (che prenderà il nome di Slo Burn...). Nella stessa intervista Garcia mise in luce che l'indole fisiologica dei Karma to Burn era comunque sia strumentale. Insomma che il gruppo per sua stessa natura suonasse meglio e con più impatto in classica formazione triangolare (basso, batteria, chitarra), senza vocals.
Quando nel '99 usci questo "Wild Wonderful Purgatory" capii e condivisi in pieno le parole di Garcia. Infatti a mio modesto parere questo album deve la sua forza prorompente ed allo stesso tempo la sua "densità" visionaria alla mancanza di cantato. Ed è (de-gustibus ovvio) superiore in ogni suo aspetto (ammetto forse non nella sperimentazione) al loro omonimo primo album. "Wild Wonderful Purgatory" (uno scherno sarcastico al West Virginia che viene soprannominato almost heaven) sono 12 tracce con titoli numerici senza un ordine ben preciso. Sceglietelo voi l'ordine tanto il risultato non cambia: matasse infuocate di riff che vi si riversano addosso in modo del tutto viscerale e creativo. Un album da ascoltare tutto d'un fiato (e questa volta non è la solita frase retorica!). Questi farebbero scuotere la testa anche ad un oppiomane...
I karma to Burn raccolgono qui in eredità tutto ciò che di paradigmatico stoner e hard-rock avevano vomitato nell'etere nei dieci anni precedenti e lo frullano in un vortice sonoro vintage, valvolare, superdistorto. Sicchè la quadratura del cerchio è perfetta. La materia che ne risulta è puro stoner roboante e spasmodico che si compiace di dipingere affreschi di uno stordimento sensoriale allucinante dovuti per lo più ad una circolarità ossessiva dei riff.
Ne escono veri anthem con un appeal ed un groove irresistibili come "Thirty", "One" o "Seven" ma allo stesso tempo pezzi più scuri e slabbrati come "ThirtyTwo", "Three", o la finale acidissima "Eight". Ad ogni modo in tutti i pezzi il piede è schiacciato sull'acceleratore. Senza compromessi ed artifici.
Il suono è violento, heavy, grasso, acido, fiammeggiante oserei dire.
Laciatevi trasportare da questo susseguirsi di riff monolitici. Ne sarete rapiti, vi muoverete con loro...
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