Quale metro di giudizio utilizzare per valutare il lavoro di artisti che sono sulle scene da più vent’anni. L’inevitabile confronto severo con i primi dischi, poi con quelli della maturità ed infine l’ascolto più recente che memoria ricordi.
I Kasabian sono dei musicisti navigati, sfrontati prima ancora nelle dichiarazioni che nella creazione dei dischi. Ibridare rock ed elettronica con gocce di psichedelica, riuscire a fare musica da club ballabile ed accreditarsi contemporaneamente presso la critica.
Il cerchio aperto dal disco omonimo (chi non ricorda l’heavy rotation di L.S.F. sull’allora Mtv?), continua prima con l’elettronica cupa di “West Ryder Pauper Lunatic Asylum” e si chiudeva “Velociraptor” (2011) con una virata maggiore verso il classic-rock. Poi due dischi non proprio indimenticabili (soprattutto l’ultimo) e la cacciata del frontman Tom Meighn con Sergio Pizzorno già compositore e chitarrista storico che prende il possesso del microfono.
Un disco questo, uscito lo scorso Agosto, stravagante a partire dall’artwork dall’estetica futuristica e con quei titoli in maiuscolo messi lì in maniera sfacciata.
Un disco lontano diverse ere geologiche dalle prime esperienze in studio, con la produzione electro-pop dello stesso Pizzorno in collaborazione con Fraser T. Smith che ricopre ogni centimetro quadrato di spazio a disposizione.
I Kasabian sono sempre stati sfarzosi, non hanno mai giocato per sottrazione va detto, ma la magniloquenza di “Euphory’s Alchemist” porta ad una seria riflessione.
Che Pizzorno abbia dato sfogo a tutti i suoi ascolti (c’è anche l’hip-hop del singolo “SCRIPTVRE”) è ben chiaro.
Alcune cose per quanto discretamente caciarone funzionano bene come “ALYGATYR” che ha un bel tiro perfetta per i live, altre volte la cifra stilistica del gruppo rischia di rimanere più incerta tra questi nuovi suoni luccicanti. “The Wall” potrebbe essere una buona b-sides di “Goodbye Kiss”, ma “STRICTLY OLD SKOOL” scivola via senza particolari sussulti, invece “STARGAZR” per quanto mi riguarda poteva anche essere un pezzo strumentale.
Se “T.U.E.” porta la rotta fuori dal comfort-zone simulando viaggi nello spazio, “ROCKET FUEL” in odore di Prodigy si piazza tra le cose migliori ascoltate, l’unico difetto è che dura troppo poco!
Si può notare come nella prima parte prevalga un sound più diretto che poi viene smorzato dopo l’intermezzo strumentale a favore di ritmiche maggiormente ragionate, salvo poi riprendere quota con “CHEMICALS” con un ritornello facilmente memorizzabile che lascia il posto alla ninna nanna finale di “LETTING GO”.
I tempi d’oro dei Kasabian sembrano andati e non è dato sapere se il futuro porterà indietro il vecchio Tom. Avrei gradito un uso maggiormente più sperimentale dell’elettronica, certi pezzi sembrano tirati troppo per i capelli quando avrebbero potuto osare un po’ di più
Tuttavia il disco, facendo finta di relegare all’oblio i primi dischi, complice anche la durata, scorre via discretamente, senza grossi salti in alto né grosse cadute, risultando sicuramente migliore del predecessore.
Se si può parlare di nuovo corso lo vedremo in futuro, qui ci si diverte, è musica da party alcoolico, c’è molta disinvoltura, la musica impegnata o semplicemente i vecchi vinili dei Kasabian li mettiamo su un’altra sera.
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