Che dire di Jim O'Rourke? In un mondo della musica dove il confine tra musica mainstream (detta più volgarmente come 'commerciale') e underground, il musicista nato a Chicago nel 1969 e attualmente residente a Tokyo in Giappone è stato sin dalla fine degli anni ottanta, una costante per quello che riguarda il perseguire un proprio percorso artistico ben definito e senza mai deviare da quello che si può definire come un doppio binario: da una parte quello di essere stato protagonista sia come musicista che come produttore di pagine fondamentali della musica underground statunitense; dall'altra quello di, figlio di Mayo Thompson e dei Red Krayola e dall'altra parte di John Fahey, avere sempre portato avanti un discorso musicale influente (già a partire dai Gastr del Sol) e via via sempre più di natura astratta e allo stesso tempo concettuale.
Estremamente prolifico, a una serie di pubblicazioni in serie su Drag City, ha accompagnato negli ultimi anni la pubblicazione esclusivamente via web e attraverso il suo canale bandcamp di diverso materiale registrato a partire dagli anni novanta fino ad oggi e legato per lo più a esperienze di tipo sperimentale. Le pubblicazioni sono state denominate 'Steamroom' che poi sarebbe il nome del suo studio a Tokyo
Allo stato attuale questa serie di pubblicazioni è arrivata al 34o capitolo. L'ultima è uscita lo scorso 4 aprile 2017. Una lunga sessione di 42 minuti registrata tra marzo e aprile che consiste in una prima versione embrionale della colonna sonora per l'opera visuale prossima dell'artista Makino Takashi denominata 'Endless Cinema'.
Nessuna delle sue opere si può in ogni caso definire di facile approccio. La volontà sperimentale di O'Rourke lo porta ad essere in qualche maniera per forza di cose lontano da qualsiasi cosa che sia definibile come easy-listening e a negare la stessa esistenza della forma canzone.
Del resto, quando ci ha provato ('Simple Songs', 2015) a cimentarsi con uno stile più classico e più prossimo alla cosiddetta musica leggera, i risultati sono stati appena sufficienti, poco interessanti e sicuramente marginali rispetto alla sua produzione solita.
L'opera in questione invece rientra in una terza serie di pubblicazioni di Jim O'Rourke e che riguarda l'altrettanto ampio e difficile da ricostruire capitolo delle collaborazioni.
Kassel Jaeger è lo pseudonimo del musicista d'avant-garde francese Francois Bonnet, uno dei maggiori sperimentatori nel campo dell'elettroacustica e considerato uno dei punti di forza nel campo della ricerca degli studi del Grm-Ina e dove svolge il ruolo di direttore artistico.
A questa attività Bonnet ha affiancato negli anni una serie di pubblicazioni letterarie dedicate letteralmente all'esplorazione del suono in tutte le sue forme e quelle che sono le diverse modalità di ascolto. Una specie di viaggio a ritroso anche nella storia dell'uomo e del suono a partire dalla storia dell'uomo primitivo e le antiche mitologie fino all'esplosione dell'era digitale e le installazioni audiovisive.
La serie di pubblicazioni, denominata 'The Order of Sounds: A Sonorous Archipelago' (Urbanomic, 2016) è stata inevitabilmente seguita da questa pubblicazione discografica uscita su Editions Mego lo scorso marzo.
Era inevitabile del resto anche che prima o poi i due si trovassero a collaborare assieme, considerando il fatto che, pure partendo da due presupposti e esperienze differenti, hanno infine raggiunto lo stesso punto di approdo. E i riferimenti terminologici al mondo marino non sono casuali in un'opera che, divisa idealmente (ma pure per ragioni di 'stato' - fisico in questo caso) in due parti, è volutamente ispirata a questa tipologia di ambientazioni.
Verrebbe da definirla come un'opera liquida a questo punto, riferendosi a una specie di ambient che magari potrebbe rimandare a episodi come quello dell''Hudson River Wind Meditations' che Lou Reed aveva registrato per le sue sedute di tai-chi, praticamente l'altra parte del 'Metal Machine Music'. Invero penso sia più corretto pensare come punto di riferimento a 'The Ship' di Brian Eno e episodi di musica concreta che improntati al minimalismo d'avanguardia, hanno bene presente il contenuto concettuale di riferimento e configurandosi sovente come 'happening' irripetibili in quanto tali, non si distaccano in ogni caso da quello che a questo punto potremmo definire epicentro.
'Wakes On Cerulean' è un'opera prettamente intellettuale e forse in qualche maniera anche settaria. Il suo obiettivo è quello di analizzare le diverse modalità di ascolto e questo è qualche cosa che si suppone dovrebbe coinvolgere l'intera popolazione umana. Ma forse sta qui la differenza tra ascoltare e sentire. Non c'è casualità in fondo in questa opera, che richiede la manifesta volontà e concentrazione della sua platea che si rivolge ad essa come uno studioso di storia e allo stesso tempo di lettere classiche a un poema omerico.
Carico i commenti... con calma