Buongiorno e benvenuti a bordo del nostro Fantastico Airbus , destinazione Houston .
La durata del volo non è precisata , dipende dalla vostra capacità di ascolto .
Fumare a bordo è consentito e qualsiasi tipo di sostanza . Vi preghiamo di spegnere i cellulari e possibilmente , per quanto possibile , anche la testa .
Si vola delicatamente sul velluto , solfeggiati da una calda e disattesa sintonia estiva , sopra i promontori del Texas .
Dagli oblo’ la vista è distratta , scorrono come diapositive paesaggi sonori anni luce distanti da sciami digitali e frenesie al neon .
Distante da sperimentalismi e virtuosismi , il sound udibile dai finestrini , si forgia con un’ alchimia artigiana , la delicatezza , se temprata dall’anima , possiede una forza dirompente e silenziosa , come quella con vigore sussurrata dall’immaginazione di un potente sciamano.
Ma qui , durante questo volo , non siamo più’ nel campo delle reveries , mosse dai cristalli della nostra mente , ma all’interno delle Rivelazioni , affrescati da quelle immagini integralmente fuori dal controllo dell’ Ego e delle terze trasmissioni , da quelle visioni che ci vengono con grande parsimonia donate in esclusiva riservatezza da Shiva .
Il suono senza tempo dei Khruangbin , in thailandese “macchina volante “ , sembra proprio iniziare le danze con l’incedere del battito di quel sacro tamburo ; metafora di un Cavallo Volante , con il manto dipinto di simboli magici e cosmologici , come la splendida copertina dell’album , raffigurante un’aquila , aperta in un volo notturno , distesa e mirante una foresta verde , brillante dei riflessi di una luna dadaista , con sullo sfondo stelle che invitano lo sguardo del terrestre , nella ricerca di un percorso , di un tracciato …
Si potrebbe parlare di una cult band , ma diventa difficile descrivere lo stile , di questa Gestalt Band ; considerato che le influenze parrebbero talmente intrecciate da non riuscire a decifrare alcun codice genetico , tra richiami soul , venature psichedeliche , vibrazioni dub , ritmiche dal Mondo ( Africa Occidentale , Estremo Oriente e anche anima latina ) .
Dai tempi antichi, per tre strumentisti caricarsi sulle spalle tutta la musica del mondo potrebbe sembrare un ‘ impresa folle e titanica , se non fosse che per un cittadino del mondo , questa responsabilità non sarebbe probabilmente un peso ma una conciliante liberazione .
“ Pelota “ è il prossimo scalo del nostro viaggio , nella ricerca di una psichedelia che contempla una sofisticata world music , la svolta esotica della band , a metà strada tra flamenco e rumba , latin rock allucinato da cumbia e chupito , che nella voce dell’ affascinante Laura Lee trova nella cattedrale del suono caratteristica dei 2 precedenti album , una sinuosa ed elegante fessura .
Ma quel mantra iniziale , quel “ tuffo senza corpi “ che accompagnava il decollo dell’airbus , è soprattutto presente in “ First Class “ , onirica pièce accompagnata da metalliche scariche di vibrafono , che rassicura tutti i passeggeri di non volare in economica . Spenti tutti i tablet & smartphones , azzerati tutti i looper ed i sample ; accatastate le balle di fieno , la musica lentamente serpeggia e prende quota , sconnessa dai vari tam-tam ; in cerca di vuoti siderali da attraversare , di bolle di sapone nella stratosfera da colorare ( la band e’ solita registrare nella Farm di proprietà di Mark Speer…che soave questa Vita ).
In “ So We Don’t Forget “ il timbro vocale di Laura Lee accompagna un arpeggio sognante di chitarra , in un nostalgico richiamo la chitarra di Mark Speer ricorda quella di John Marr degli Smiths , mentre il basso vira verso un funk delicato e sottile , nella ricerca di madeleines sparse nella nostra gioviale esistenza.
Mordechai è un lavoro fresco e spontaneo, da assaporare languido e malinconico , sorseggiando uno Spritz Saint Germain , durante un tramonto estivo in una spiaggia semideserta , della nostra amata penisola .
L’ensemble al termine e’ qualcosa di ben piu’ ricco delle parti in gioco , anche se va detto che la linea di basso ed il groove emanato da Laura Lee , il drumming possente e geometrico di D. Johnson e gli arpeggi di Speer sono cesellati in una candida perfezione.
Esistono probabilmente tante strade per cedere alla forma canzone , dopo i primi due album in prevalenza strumentali , i Khruangbin hanno scelto la meno battuta .
Ed anche per questo , sono cosi’ deliziosamente diversi.
Carico i commenti... con calma