Nell'anno domini di questa recensione, il 2019, furoreggiano la trap, il pop elettronico e un pochetto di rock revival, invece negli anni novanta e duemila le cose andavano diversamente. Oltre al pop femminile seminudo e l'hip hop al massimo delle forze, anche le sonorità nu metal e rap rock ebbero grande seguito, in un tentativo (riuscito solo a metà) di tenere in vita l'ormai vecchio rock and roll e i suoi contatti con altri generi. Così nel 1998 nacque il fenomeno Kid Rock, col suo album d'esordio ufficiale. La sua vocazione dell'epoca, la scansione di rap vecchia scuola su basi vagamente hard rock (e non solo), già sapeva di vecchio ma differì dalle altre per il fatto di proporre tematiche festaiole ma reazionarie, tutte incentrate sulla mancanza di stimoli e modernità della provincia americana. La fortuna del cowboy metropolitano è tenuta in piedi soprattutto da tracce come il rozzo singolone "Bawitdaba", e poi la title track, "Roving Gangster", "I Am the Bullgod", "Somebody's Gotta Feel This", "Fist of Rage" e perfino una collaborazione con Eminem, il cui titolo si commenta da solo. Si tratta di brani stereotipati ma potenti e tamarri, mescolanze di rap bianco, scratch e chitarre forti, all'epoca considerate canzoni per gente senza orecchio, ma solo in apparenza. Dopo questa prova, Kid Rock ha poi gradualmente cambiato genere, salvo brevi parentesi. Ora, di quell'esperienza e similia, restano solo ricordi dolceamari e riproposizioni di poco conto su YouTube.
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