Non è per niente facile parlare in modo appropriato di un disco così complesso ed ambizioso come “Lizard”, uno di quelli da portare su di un’ipotetica isola deserta, o da tramandare ai posteri, piuttosto che cimentarmi in un’ennesima recensione un po’ inutile e spocchiosa, preferisco, girando intorno alla questione, divagare su com’era il nostro mondo di allora mentre veniva pubblicato il loro primo sfolgorante “In the Court…”, vera e propria pietra miliare della musica contemporanea, per tecnica, innovazione ed impostazione estetica.
La parola d’ordine per la musica di quei tempi, specie nel caso del pop o rock in genere, era “rinnovamento e rapidità”; la Rai in quegli anni, unica monopolista del servizio radio-televisivo sino al ’76, visto quel clima frenetico, pensò bene di adeguarsi rapidamente inventando delle trasmissioni analoghe a Radio Luxembourg, che in quel momento rappresentava il modello da seguire; così la stessa avviò dei programmi come “Bandiera Gialla”, trasmessa dal ‘65 al ’70, e “Per voi giovani”, andata in onda dal ‘66 al ’76, la prima organizzata come una vetrina beat e la seconda dedita soprattutto al prog ed al pop psichedelico, di cui c’è ancora traccia su Youtube di “Glad” dei Traffic, come (splendida) sigla iniziale; insieme a questi due, all’epoca la Rai trasmise anche “Supersonic”, “Pop Off” ed il surreale e strampalato “Alto Gradimento” di Arbore e Boncompagni, a cui va il merito di aver imposto anche da noi degli hits internazionali, che diversamente avrebbero avuto i medesimi riscontri.
Quelli erano anni importanti non solo per i bei dischi di allora, o perché i King Crimson con “In the Court…” ridefinivano completamente lo stile del prog, ma per ben altri avvenimenti non meno significativi; il ’68 fu infatti l’anno in cui fu assassinato J.F.Kennedy, ed in cui si propagò dagli States, con effetto domino, verso tutta Europa la rivolta studentesca; anche il ’69 fu ugualmente rilevante, poichè l'uomo sbarcò per la prima volta sulla luna con la missione Apollo 11, l’Unione Sovietica invase la Cecoslovacchia, e Jan Palach morì dandosi fuoco per protesta, ed a Milano ci fu l’attentato terroristico di Piazza Fontana, da cui prese il via nel nostro paese l’epoca stragista, destinata a durare per molti anni ancora; ugualmente decisivo fu anche il ‘70, che vide la fine di un’epoca, a seguito dello scioglimento dei Beatles, ed alla morte per droga di Jimi Hendrix e Janis Joplin, e subito dopo nel ’71 anche quella di Jim Morrison.
A quei tempi, quindicenne, frequentavo le prime classi delle secondarie, ed ascoltavo ogni genere di musica, preferendo Radio Luxembourg piuttosto che la Rai, poiché era l’unica in quel momento a trasmettere il meglio del pop rock del momento, anticipandone l’arrivo nel nostro paese; a causa del segnale scadente, il suo ascolto però era una vera avventura, in quanto dovevamo ricercarne spesso le frequenze con tanta pazienza, ma solo da mezzanotte in poi, quando la Rai chiudeva i propri programmi mandando in onda una sequenza di 4 suoni come dei cinguettii.
Ai giorni nostri Radio Luxembourg non può significare nulla per gli appassionati di musica, ad esclusione di quelli, come me, che sono già negli ‘anta già da qualche lustro; in quegli anni la stessa, unica nel suo genere, era una radio off shore, che irradiava le proprie trasmissioni verso tutta l’Europa da una nave ancorata in acque extraterritoriali, mediante potenti trasmettitori, eludendo così le legislazioni vigenti; molto seguita anche da quelli del settore, era la prima radio commerciale in grande stile, attenta alle nuove tendenze musicali; anche se non capivamo una sola parola d’inglese, per noi quella era la nostra internet, improntata su ritmo, jingle e notiziari flash e tanta tanta musica di ogni genere; dal 76 divenne di riferimento per aspiranti deejays e speakers delle neonate radio libere, da quando fu liberalizzata la radiofonia, che poi fu subito dopo soggetta ad una occupazione senza regole; prendendo spunto dalla stessa, anch’io giusto in quel anno partecipai per la parte musicale ad una delle prime radio libere cittadine, da cui ne uscii nel ’80 visto il clima sociale che nel mentre si era creato in Italia a seguito del terrorismo.
Già da allora, inquieto anche nella musica, le mie preferenze musicali, genere dopo genere, erano “work in progress”, e tra le tante anteprime radiofoniche del ’69 su Radio Luxembourg, spiccò quella di “In the Court…” dei primi King Crimson, per le sonorità innovatrici e poco inquadrabili per allora; vicini a Moody Blues, Nice e Procol Harum, per l’uso del mellotron, e le melodie sofisticate e classicheggianti, ma molto più innovativi, e propulsori del nascente prog di allora, specie nella sperimentazione e contaminazione tra generi, come musica classica, sinfonica e sperimentale, psichedelia, medioevale e jazz; non solo belle armonie, a volte un po’ cerebrali ed astratte, per niente epidermiche, e bei testi, ma una vera e propria proposta estetica, ancora oggi punto di riferimento per molti.
Quando si parla di King Crimson, si pensa subito a Robert Fripp, suo fondatore e leader incontrastato, ed indiscusso mostro sacro della musica progressive; lo stesso, uno dei geni musicali più influenti degli ultimi cinquanta anni, maestro di stile e tecnica, e figura di culto, che riesce sempre con le sue intuizioni ad anticipare la musica ancora da venire, sia alla guida del Gruppo stesso, che in proprio in una infinità di progetti, o nell’ambito di varie collaborazioni illustri; una carriera dedita allo sviluppo delle sue personalissime teorie musicali, colto e raffinato sperimentatore, e lontano anni luce dagli stereotipi dell’artista dissoluto ed eccessivo di allora, ma dall’aspetto di anonimo impiegato di banca, o meglio dell’insegnante di matematica dalle buone maniere, è invece un virtuoso chitarrista di talento, attento ed ultraperfezionista, un po’ tanto nevrotico e soggetto a profonde crisi personali, contraddistinto da un ego smisurato e da un sottile sarcasmo che non risparmia niente a nessuno.
I prodomi di quella che sarà la prima formazione, risalgono al suo sodalizio musicale con i fratelli Giles, Michael alla batteria e Pete al basso, quando la stessa fu chiamata semplicemente “Giles, Giles and Fripp”; a questo primo nucleo si aggregò via via il tastierista Ian Mac Donald, poi l’eccentrico Pete Sinfield, autore dei testi ed anche del nome King Crimson, ed infine Greg Lake al basso ed alla voce; sin da subito non fu mai una vera e propria squadra, destinata a durare, ma, mutante ed instabile sin dai primi dischi, e soggetta a lunghi periodi di silenzio, fu riesumata e rielaborata anche dopo lunghi periodi di inattività, ma ancora capace di nuove innovazioni sonore, spesso differenti e distanti tra loro ma sempre ben riconoscibili, malgrado le continue evoluzioni verso sonorità e generi nuovi.
Con “Lizard”, terzo album dei King Crimson, Robert Fripp si discosta dall’iniziale e splendido “In the Court…”, manifesto del progressive inglese, e dal successivo “In the wake…”, con cui completava la strada già intrapresa, abbozzando le prossime sonorità; qui invece si spinge oltre le melodie iniziali, ed appena un anno dopo, avvia in piena libertà compositiva le future sperimentazioni del Gruppo in questione; grazie ad una schiera di preparatissimi musicisti d’indubbio valore, ed una possente ed inedita sezione di fiati, lo stesso, anziché adagiarsi sui precedenti successi, inverte la rotta verso sofisticate ed incantate melodie, alternando in libertà, in una girandola di suoni, complesse sonorità basate sulla fusione di generi spesso opposti, come prog, rock, prog-free-jazz ed arie classicheggianti, che sono un’anticipazione dell’idea di “musica totale” del successivo ed affascinante “Islands”.
Dall’ascolto del disco, è difficile distinguere in termini di merito un brano dall’altro, anche se c’è un netto divario tra i primi brani ed il resto dell’opera; infatti i primi “Cirkus, Indoor Games ed Happy Family”, spiccano per le sonorità forti e contrastate, prive a volte di un ordine apparente, ma perfette per musicalità ed immediatezza; diversamente, la successiva “Lady of the dancing water” riprende ed incanta per le gentili e serene melodie. Analoghe a quelle di “Epitaph” del primo disco, anticipando la suite “Lizard”, degna chiusura e title track di questo bel disco.
Quest’ultima è un compendio di stili, a metà strada tra il pop favolistico, il sinfonico sperimentale, ed il jazz ed il free jazz progressivo, prossimo alla “rivoluzione gentile” dei magici di Canterbury; lo stesso inizia in sordina, avviandosi pian piano verso un graduale crescendo di sonorità quasi medioevali, sostituite via via da quelle di un bolero classicheggiante sempre più jazzato ed incalzante, dove emergono i virtuosismi alla chitarra ed i suoni sognanti ed a volte grevi del mellotron di Robert Fripp.
Per inciso, “Lizard” è tuttora visto da molti puristi del prog come un’opera poca significativa nella produzione dei King Crimson, tanto che lo stesso non fu contrassegnato dagli esiti commerciali dovuti, tanto che tale disvalore determinò l'immedia conclusione sia di quel tipo di esperimento, che della sua formazione; peccato che lo stesso rimanga uno dei lavori più sottovalutato di questo Gruppo, nonostante la magia che si rinnova ad ogni suo nuovo ascolto.
"Lizard" è un capolavoro assoluto, seppur di transizione, uno dei più significativi del prog di tutti i tempi, dove Robert Fripp dimostra la rivoluzionarietà del suo modo di concepire i King Crimson.
(e chi non è d’accordo con questa mia accetti suo malgrado la stessa…)
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