Moondawn di Klaus Schulze è un disco storico e un esempio perfetto del suo classico stile di metà anni ‘70. L’album venne registrato a Francoforte su un regsitratore a 16 tracce invece che a 2 come in precedenza. Inoltre, per l’occasione, fa la sua comparsa il grande batterista Harald Grosskopf, noto per aver suonato con i Wallenstein, gli Ash Ra e i Cosmici Jokers e molto stimato da Schulze. Nel frattempo Schulze aveva anche acquistato da Florian Fricke il Big Moog in quanto il leader dei Popol Vuh aveva da tempo abiurato la musica elettronica. Moondawn è diviso in 2 composizioni molto diverse fra di loro ma che rappresentano degli standard della scuola di Berlino. “Floating” è, a suo modo, una traccia paradigmatica del maestro tedesco. All’inizio possiamo ascoltare la preghiera registrata di un musulmano accompagnata da ambientazioni elettroniche. Poi il sequencer diventa assoluto protagonista con le sue pulsazioni metronomiche. La melodia è irresisitibile e viene accompagnata dagli effetti elettronici e dalle variazioni timbriche. Probabilmente è qui che Schulze raggiunge la sua perfezione formale anche se io rimango più legato a dischi come Irrlicht, Cyborg e Blackdance. È qui che la sua “picture music” trova una purezza cristallina e una pulizia del suono che rasenta la perfezione. E come dimenticare poi l’apporto di Harald Grosskpof che dona il suo tocco percussivo all’insieme seguendo alla perfezione il sequencer? La successiva “Mindphaser” è invece una traccia dai 2 volti. L’inizio è pacato e meditativo e ci immerge in un’atmosfera onirica. Il suono rilassante delle onde ci culla dolcemente seguito dalle sonorità dei synth mentre solo il rumore di un tuono lascia presagire una possibile minaccia. L’effetto è catartico e verrebbe voglia di non staccarsi più da questa magica alchimia sonora. Si rimane in profonda meditazione fino a quando nella seconda parte fa la sua comparsa il suono dell’organo e i ritmi diventano improvvisamente concitati. Da qui in avanti la musica diventa un delirio di suoni impressionante ricordando il progressive-rock e i Pink Floyd più sperimentali ma con una potenza ancora maggiore. I suoni dei Big Moog sono in grande evidenza accompagnati dalle ritmiche di Harald Grosskopf. Davvero un grande brano. Moondawn, uscuito nel 1976, probabilmente è il suo disco più accessibile fino a quel momento ma rimane un grande album che vendette bene ed ebbe molto successo in Francia.





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