Nella recensione del precedente “The Nothing”, scrivevo di come avevo perso la speranza riguardo un album decente dei padrini del Nu metal dopo anni di delusioni, album da sufficienza e riusciti a metà, dato che a seguito dell'abbandono dello storico batterista David Silveria, il quale li ha accompagnati durante la loro golden age, hanno attraversato una caduta libera qualitativa.
Tornano dopo tre anni da un “The Nothing” che già ci aveva lasciato con l'amaro in bocca ma era più elaborato e piacevole, con le previsioni confermate dall' ennesimo passo falso che ormai mette in pari i lavori riusciti con quelli da cestinare, adesso ne abbiamo 7 contro 7 dato che non hanno mai fermato per troppo tempo la loro produzione.
Come da copione, partendo dai pochi lati positivi, non è tutto da buttare, qualche soluzione riuscita si può trovare, tanto che il primo singolo presentato (“Start the Healing”) non era nulla di eccezionale ma in effetti aveva fatto intravedere un barlume di speranza, sempre se si apprezza questo tipo di sound che ripesca uno stile da outtake di “Paradigm Shift” (2014) stavolta più melodico del solito, modellando un disco dalla durata di un EP abbastanza piatto, complice anche la produzione “radiofonica”, con la voce in risalto rispetto al resto che ci porta alla mente l'enorme domanda: Dove è finita la band? le chitarre non hanno molto da dire, sepolte in alcuni punti da produzione, effetti e addirittura dalla batteria, orfana del groove di Silveria che ormai è andato perso da tempo, lo sappiamo, ma qui a livello ritmico anche il basso è poco presente, forse perché il bassista Fieldy ha lasciato la band (Momentaneamente? Per ora non è nemmeno presente nella foto del booklet). Quindi niente sezione ritmica interessante ma credo pochi si aspettassero (se se ne sono accorti) un album che conferma così palesemente quello che succede da ormai più di un decennio e che i fans già sanno, è il cantante Jonathan Davis a guidare la flotta decidendo le direzioni musicali da intraprendere, ricordandoci i suoi album solisti e con una voce in gran forma che però spesso va a scontrarsi con una composizione non del tutto efficace, tanto che la parti melodiche e pesanti spesso sembrano appiccicate con la forza, cosa che in passato non avveniva, oltre al fatto che non sta zitto un attimo riempiendo con la voce quasi ogni secondo.
In contrasto con la critica musicale che ultimamente gli perdona tutto e non si accorge di essere di fronte a uno dei loro lavori meno piacevoli, non mi piace parlare male di quella che probabilmente è la mia band preferita e non sono nemmeno uno di quelli che rivuole i “vecchi” Korn, dopo 28 anni di attività è anche giusto cambiare. Considero “Untouchables” con il quale cominciarono a sperimentare un capolavoro alla pari dei precedenti e apprezzai molto “See you on the other side”, in quel caso varcarono nuovi confini ma riuscendo nell'impresa (cosa non accaduta con i successivi Unplugged e la Brostep di “Path of Totality”), stavolta invece siamo di fronte al “Requiem” della loro ispirazione, con buona pace dei demoni e dell'egocentrismo di J.D.
Voto 5/10
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Forgotten
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Let The Dark Do The Rest
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Start The Healing
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Lost In The Grandeur
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Disconnect
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Hopeless And Beaten
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Penance To Sorrow
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My Confession
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Worst Is On Its Way
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