Ogni volta che ascolto un nuovo album dei padri fondatori del nu metal, che poi sono anche una delle mie band preferite, mi dico: "dai, l'ultimo non era niente di che ma magari questa è la volta buona..." ed invece puntualmente mi deludono.
Ma riepiloghiamo con ordine partendo da quello che a mio avviso è il loro ultimo album di qualità, quel "See you on the other side" del 2005 che arrivava dopo una carriera più che dignitosa e pur cambiando le carte in tavola, come è giusto che si faccia dopo una carriera più che decennale, rimaneva un lavoro piacevole da ascoltare che anche presentando atmosfere più dark e se vogliamo meno pesanti , aveva una sua identità e si difendeva bene a livello qualitativo. Da quel momento in poi i Korn hanno intrapreso una lieve discesa e non è un caso che lo storico batterista David Silveria abbandoni in quel periodo, stanco del fatto che il gruppo stava diventando sempre più la creatura di Jonathan Davis e non contento della virata riguardante il sound. Sound che dopo l'esperimento riuscito a metà di "untitled" (2007) e il loro album peggiore ("The Path of Totality" del 2012) dalle tinte dubstep, in questo album torna a fare il verso a quella formula che i Korn ci hanno già proposto in "Paradigm Shift" e in parte in "Serenity of Suffering", ovvero una brutta copia riarrangiata del ben più riuscito "Untouchables".
Peccato che in questo caso le idee siano sempre meno e la noia la faccia da padrone, con un Jonathan Davis al timone della nave con un ottima performance a livello tecnico ma a tratti poco coesa con il resto del gruppo, non a caso ha registrato nella solitudine del suo studio le parti vocali e questo si sente in alcune scelte in fase di arrangiamento. Ciò è aggravato poi dalle chitarre spesso piatte e dalla solita sezione ritmica di Ray Luzier, un ottimo batterista non adatto al sound dei Korn, o almeno a quello che avevano fino a poco tempo fa, che si limita infatti al suo compito senza episodi degni di nota ma per fortuna stavolta il basso di FIeldy è più in evidenza rispetto ad altri lavori.

Ed è cosi che scorre tutto l'album, un lavoro iperprodotto (a tratti plasticoso) e sufficiente con qualche buona idea che però non è abbastanza e infatti i brani si lasciano ascoltare e scorrono senza però lasciare il segno a parte qualche episodio un pò più riuscito come "Gravity of Discomfort" o "Can you hear me" che rimanda al radiofonico Jonathan Davis solista.
Insomma dai Korn era lecito aspettarsi molto più che un album semplicemente piacevole da ascoltare in macchina o in palestra e fino al 2005 ogni loro uscita era sinonimo di ottima musica, ma presumo che quei tempi siano ormai andati e dal prossimo album anche le mie speranze, tuttavia sembra che nessuno se ne sia accorto e l'album è stato accolto benissimo, buon per loro in fondo se lo meritano.

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