Storia essenziale della musica elettronica
VI. La dance al tempo dei Kraftwerk
Nel 1893 il franco-scozzese William Dickson, mente propulsiva nei laboratori di Thomas Edison, inventò il cinetoscopio. La curiosa invenzione, capace di riprodurre l'effetto del movimento attraverso una sequenza di immagini, pose le basi di un'arte la cui paternità sarebbe stata disputata, nei decenni a venire, tra Edison e i fratelli Lumière; nella sostanza Dickson inventò il cinema, subodorandone le potenzialità solo quando avrebbe deciso di congedarsi dal suo mentore troppo intento a seguire le evoluzioni del neonato fonografo. Il bretone accese la miccia del cinematografo, pur non intuendo la cinepresa: fu il precursore, non l'inventore.
Così nella florida Germania degli anni '70 i Kraftwerk, sostanzialmente identificati nelle menti ostinate di Ralf Hütter e Florian Schneider, elaborando gli stilemi elettronici tanto cari alla cultura tedesca, forgiano l'elettronica di consumo, la disco-music che non si balla nelle discoteche, la musica per le masse senza le masse. Dopo i controversi inizi accreditati prima al collettivo "Organisation", poi all'effettiva band di Düsseldorf, è attraverso Ralf & Florian del '73 che il duo tedesco accede alla combinazione del Kraftwerkklang, introducendo attraverso "Elektrisches Roulette" e "Kristallo" l'era della più grezza e sincopata techno-dance. Il lavoro, impreziosito da almeno un altro paio di chicche come "Tanzmusik" e "Ananas Symphonie", si pone come vorspeise naïf a quello che sarà il primo fenomeno popolare della produzione Kraftwerk, il primo effettivo esempio di elettronica orecchiabile ove l'unità melodica entra in loop replicandosi uguale a se stessa. Autobahn, per certi versi ancora affine in più parti alla precedente produzione, reca nella sua memorabile title-track il tipico sound Kraftwerk. Appare, inusitata, la voce naturale di Hütter (precedentemente Florian Schneider si era esibito col vocoder in "Ananas Symphonie"), segno inequivocabile della nuova transizione di stile: "Wir fahr'n fahr'n fahr'n auf der Autobahn" suona a mo' di ritornello infantile in tutta la sua essenzialità, rinnovando periodicamente l'unità melodica fondamentale. L'impianto strumentale si inserisce in perfetta era techno-dance attraverso l'indulgenza all'uso dei sintetizzatori, e per la prima volta, al ricorso alle percussioni elettroniche, nonostante episodi vintage come il suono del flauto di Schneider, scoria ancora rappresentativa del classicheggiante pre-Autobahn, facciano la loro comparsa. Per la prima volta la voce-guida non è il disordine, lo scarto, la variatio: il loop ripetitivo è la nuova cifra stilistica, il continuo indugio sulla riproposizione di schemi precostituiti di cui si farà forte l'elettronica da ballo che tanto dovrà al collettivo di Düsseldorf.
Con Autobahn i Kraftwerk, al pari di Dickson, si pongono come precursori: come il bretone ebbe l'intuizione del cinematografo, così essi si pongono come anticipatori della disco-music e i suoi derivati, non attuatori, né esecutori; La musica di Hütter e Schneider non è né mai sarebbe stata disco dance. Pur predicando infatti la ripetizione e l'orchestrazione dance, il sound Kraftwerk è tutt'altro che ballabile, praticabile; il lento incedere delle tastiere ove ogni nota è predetta dalle sequenze delle note precedenti, pur nella sua orecchiabilità, tradisce il movimento: lo accompagna, senza coinvolgerlo. Non a caso uno dei più rappresentativi episodi danzerecci dei Kraftwerk, quel "The Robots" che due anni dopo consacrerà il gruppo agli onori internazionali, si porrà come "musica per automi", break-dance inane e meccanica per non-danzatori, cui tributerà merito anche un inclito videoclip girato da quattro statici signori impettiti e glaciali. Il sound statico della disco-music kraftwerkiana rimarrà la cifra peculiare del gruppo di Düsseldorf sino ai giorni nostri, sulla scia di una produzione che continuerà il percorso di Autobahn senza cambiare le proprie fattezze, se si esclude il più movimentato The Mix del 1991: nell'era dell'aggiornamento della musica da discoteca, prima attraverso il techno-pop degli '80, poi attraverso la house dei '90, il Kraftwerkklang rimarrà ancorato alla sua fiera non ballabilità.
Autobahn, disco precursore e postcursore, legato ancora alla tradizione dei caotici inizi kraftwerkiani: la forma suite della title-track verrà soppiantata dal successivo Trans-Europe Express, ove la fruizione dei brani sarà più equilibrata e si assisterà al ripulimento certosino di tutte le scorie destrutturanti dei primordi, defezioni presenti in Autobahn nel primo movimento della "Kometenmelodie" di Hütter e Schneider (più canonico e prevedibile, in perfetto stile Kraftwerk, il secondo movimento) e nella sperimentale "Morgenspaziergang", ove la sintesi elettronica di suoni naturali risulta al di fuori del seminato di ricerca della band tedesca.
I Kraftwerk si arricchiscono oggi della linfa dell'informazione d'essai, le webzine, i pamphlet musicali. Come Dickson privi di accreditamento da parte dell'opinione pubblica, sconosciuti alla teen-generation cultrice della musica da ballo che indirettamente deve loro il parto prematuro della disco-music. Un'incubazione nota solo agli specialisti del settore, ma luminescente. Si muove in grande spolvero sul Maggiolino bianco di Schult, lenta e macchinosa come un robot, fiera e frivola come la modella che dà il meglio di sé solo davanti alla telecamera. La stessa telecamera figlia del cinema di Dickson, quando era in voga quella danza ricordata oggi col nome di foxtrot.
Segue una lettura critica sul Kraftwerkwelt: poiché la trattazione esula dagli scopi informativi di questa collana di recensioni, può essere ignorata; chi vi fosse interessato può allargare il proprio campo di conoscenze sulla comune di Düsseldorf.
Apocalissi industriale e sentimento popolare: come nei Kraftwerk visse la civiltà della macchina
"Smitizzando il sintetizzatore, i Kraftwerk di fatto smitizzarono proprio la civilta' delle macchine contro cui a parole si accanivano; e, infatti,
finirono per portarla in discoteca. Questi dischi rispolverarono miti e sterotipi (inquietanti) del futurismo trasformandoli in miti e sterotipi (innocui) della generazione che non aveva studiato il futurismo a scuola.
Pochi voltafaccia furono clamorosi come i loro, e pochi voltafaccia furono influenti come il loro." (P. Scaruffi)
La voce inclemente di Piero Scaruffi, tra più discussi e contestati guru della critica musicale odierna, destruttura in poche battute il Kraftwerwelt, specificando le linee guida di ciò che viene supposto essere il più consistente bluff della storia della musica moderna. La considerazione dello studioso, pur trascurabile da molti dei più accaniti cultori di Hütter e Schneider, merita però più di una riga di commento. L'analisi riguardante il presunto dietrofront dei Kraftwerk discende preminentemente dall'osservazione delle peculiarità di Autobahn: è nell'automobile che il collettivo di Düsseldorf vira verso il techno-pop, tralasciando quella sperimentazione caotica dei primordi atta a portare alla luce lavori come Kraftwerk2 e Ralf & Florian, ad oggi tra i più interessanti esempi di proto-industrial da camera, lavori di nicchia incapaci di consegnare alla fama Hütter e soci al pari di The Man Machine e Computer World. Da Ralf & Florian ad Autobahn lo scarto è notevole: l'impostazione è la stessa, ma il sound è mutato, rinnovato; in breve i Kraftwerk avrebbero finito per fondare la disco-music pur partendo da premesse ben diverse. La considerazione quindi su un presunto cambiamento di intenzioni in corso d'opera da parte di Hütter e Schneider è ineluttabilmente sacrosanta; lo si può chiamare voltafaccia, dietrofront, evoluzione di percorso: non è in ogni caso possibile individuare una definizione univoca per quella che è stata semplicemente una trasformazione. Lo stesso Scaruffi non si rivolge certo ad un fattore unicamente musicale: il "voltafaccia" cui fa riferimento riguarda l'intera cultura kraftwerkiana, la comunità di intenti che proprio nel passaggio da Ralf & Florian ad Autobahn sarebbe stata sconfessata a favore di altri interessi. Andiamo nel dettaglio: i Kraftwerk avrebbero destrutturato la "civiltà delle macchine" da loro demonizzata. Notazione curiosa, ma presumibilmente non "mirata". Il riferimento, non rivolto al solo episodio del "dietrofront" del '74, si fa forte delle considerazioni di carattere globale su almeno due episodi eclatanti della discografia di Hütter e soci: Radioactivity e The Man Machine, tra i più orecchiabili della band tedesca. In entrambi i dischi i Kraftwerk non fecero mistero di rivolgere il proprio sguardo d'attenzione nei confronti della cultura del progresso tecnologico, definendo attraverso un sound spesso grottesco, non infrequentemente apocalittico, una visione di insieme apparentemente non indulgente. Si trova forse qui il bandolo dell'intricata matassa kraftwerkiana, l'indiretta risposta all'inclemente accuse di Scaruffi: nei Kraftwerk convissero indissolubili l'apocalissi industriale e il sentimento popolare. La civiltà della macchina non fu mai oggetto di accanimento verbale del gruppo tedesco (se si esclude la rivisitazione remixata di "Radioactivity" del '91), contrariamente a quanto ritenuto da Scaruffi: i pochi stralci verbali disseminati qua e là da Hütter e Schneider non fecero altro che porsi da riempitivo di un ritornello orecchiabile, non assurgendo mai al ruolo di testo impegnato. In "The Man Machine" la cantilena originale "Man Machine, pseudo human being Man Machine, super human being" corrisponde alla ricerca di intenti puramente eufonici da parte del collettivo di Düsseldorf, in apparente contrasto con un'architettura musicale che pur tradendo un'impostazione complessivamente semplicistica, si presenta nel suo minaccioso piglio pseudo-industriale, correo e colpevolizzante. In "The Man Machine" convivono il dramma autofago della scena industrial e il girotondo popolano di una mazurka di periferia. Non c'è alcuna invettiva nei confronti della cultura tecnologica, non una presa di posizione, non una filippica: appare, perfettamente smussato, il diverbio tra registro musicale e corredo verbale. L'ulteriore riprova del cambio di tono in "Radioactivity" (la versione di The Mix del 1991 riporta un testo significativamente invettivo a seguito dell'ecatombe di Chernobyl), non fa altro che testimoniare l'assoluta franchezza di intenti di un gruppo che tredici anni prima si era limitato a cantare un innocuo ritornello senza prevedere la portata di eventi che si sarebbero verificati di lì a poco. Così, negli intenti dei Kraftwerk non ci fu mai, presumibilmente, un voltafaccia, mai un rinnegamento; il cambio di traiettoria del 1974 avrebbe consegnato nelle discoteche il Kraftwerkklang, rinnovando l'elemento musicale, ma mai la civiltà tecnologica sarebbe stata intaccata dalla scarna filosofia della band tedesca, tutta intenta a tramandare l'orecchiabilità del proprio bagaglio discografico.
Se poi quell'impostazione musicale, spesso tra l'apocalissi e il patema, sia stata veramente indice di una condanna sostanziale nei confronti della civiltà della macchina, a nessuno è dato saperlo. Se non a chi, in fede, ha colto l'essenza del KraftwerkKlang.
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