Kraftwerk ergo “How To Build Your Own Automaton”.

Cap. II: Industria.

Medesimo cono.

Medesima doppia forza [kraft] centrifuga (esplorazione) — centripeta (affinamento).

Medesima concretezza analogica: ancora nessuna astrattezza sintetica all’orizzonte.

Non più rosso, bensì verde. Il senso di ciò mi sfugge.

Come sfuggono le sfumature del clangore metallico: corpo estraneo, di natura dissimile rispetto ai padiglioni auricolari. Eppure son coni anch’essi (imbuti).

Ad auscultare il metallo zincato, si scoprono strane cose: ad esempio, il riaffiorare di una serenità dal di dentro del disagio macchinale. Dove si nascondeva?

Negli anfratti dell’industriale.

Lì alberga dunque una spensieratezza. Una bucolica dei prodotti in serie.

Già.

Prodotti in serie, non manufatti.

Prodotti dell’industria automatizzata, non già prodotti dell’industria umana.

“Industria” non è più l’attività direttamente umana, quanto piuttosto l’attività indirettamente umana, mediata e demandata a macchine.

Cosa rimane da fare agli uomini?

Imitare le movenze delle macchine, imitare la loro spensieratezza.

Fingersi macchine anch’essi.

Adoperarsi: tirar fuori nastri magnetici, sbattere contro ogni superficie metallica — vuota o piena; concava piana o convessa — ed ascoltare.

Il risultato? Klänge: suoni (musica/rumore).

In altri termini: Improvvisarsi operai addetti al suono.

Scoprire, con la confidenza delle loro dinamiche, che nella vita delle macchine vi sono sì momenti di quiete, ma anche momenti d’inquietudine.

Un fondo d’inquietudine inaccessibile e vischioso.

CAP.3: https://www.debaser.it/kraftwerk/ralf-and-florian/recensione-123asterisco

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