Terribile. Difficile trovare definizione maggiormente calzante per descrivere la morsa sonora in cui ci stritola KTL, ennesimo mostro musicale partorito dalla mente perversa di Stephen O'Malley.

Genio incompreso o coglione compreso? Non so più cosa pensare di un personaggio come O'Malley, tant'è che mi trovo ad aver serie difficoltà nel valutare un aborto musicale del genere.

In dubbio fino alla fine nell'appioppare a questi KTL un politico "senza voto", mi azzardo invero ad assegnare quattro decorose stelle: non tanto per il coraggio (dato che oramai sono quasi dieci anni che O'Malley passeggia sui medesimi lidi sonori), bensì per l'intelligenza con cui si è tentato di rinnovare un discorso che pareva essere destinato ad esaurirsi nell'arco di un album o due.

Scritto a quattro mani con lo sperimentatore Peter Rehberg (meglio noto come Pita, fra i pionieri del glitch), questo debutto targato 2006 farà certamente la gioia di tutti gli estimatori dei Sunn O))). E quindi, aggiungo io, l'infelicità di tutti gli altri.

L'incontro fra due artisti così diversi porta inevitabilmente ad una re-distribuzione degli ingredienti: si stempera da un lato la componente stra-doom che ha caratterizzato fino ad oggi ogni uscita discografica dei Sunn O))); ci s'inerpica, dall'altro, per i sentieri impervi del dark ambient e del black metal, inzuppati entrambi nel contesto drone di cui O'Malley è senz'altro uno degli alfieri più credibili.

Il tutto, paradossalmente, sembra avere un senso.

I due figuri si dividono i compiti al 50%: funerei tappeti ambient e manipolazioni elettroniche da parte di Rehberg; giochi di volume, strimpellate di chitarre e gelidi riff black metal a cura di O'Malley, per quasi ottanta minuti di roba oscillante fra il niente e il fastidioso.

Per il principio secondo cui il frutto non casca mai troppo lontano dal ramo, in "KTL" potremo facilmente rinvenire richiami al repertorio dei Sunn O))): i caroselli elettronici di "Flight of the Behemoth", le ambientazioni tenebrose di "White1" e "White2", lo sferragliare di chitarre di "Black One" trovano qui una sintesi, arricchita dal talento manipolatore di un artista come Rehberg, che conferisce al minestrone lo spessore sperimentale che ha fatto innamorare di questo album un po' tutti, anche gente al di sopra di ogni sospetto come gli scribacchini di Blow Up (si veda la recensione entusiastica apparsa sul magazine l'anno scorso).

Settantasette minuti, sei pezzi, due (forse tre) i temi armonici su cui ricamare all'infinito: questi sono i numeri, gente, non c'è da farsi molte illusioni.

"Estrangled" lascia indifferenti ad un primo approccio, rivelandosi con il susseguirsi degli ascolti l'episodio più azzeccato del lotto: uno spettrale accordo di tastiera lungo venticinque minuti, un lento discendere verso il Niente, un incubo dronico "animato" da impercettibili fluttuazioni di synth e dai deturpanti scricchiolii della chitarra improvvisata di O'Malley. Sublime.

E poi la colossale "Forest Floor", un'estenuante suite divisa in quattro "movimenti", dove a far da padrone è il riffing da cantina norvegese di O'Malley, mentre questa volta è Rehberg ad occuparsi delle rifiniture. Quasi quaranta minuti in cui i Darkthrone paiono addormentarsi sugli strumenti lasciando gli amplificatori accesi, mentre nella stanza accanto c'è Rehberg che passeggia con disinvoltura su tale sfacelo, violentando le proprie macchine, facendo sputare loro effetti urticanti, elettronica da officina meccanica, loop di industrial scartavetrante.

Chiamati a chiudere il cerchio, i rinfrancanti tredici minuti di "Snow", un'altra perlustrazione ambient a cura di Rehberg, i cui suoni si riallacciano agli umori minimali percepiti in principio.

Capolavoro o minchiata colossale? Non so che dire, gente, non è certo musica per tutti, né per tutti i momenti. "KTL" è un viaggio nell'esagerazione, questo è sicuro, ma non è una provocazione fine a se stessa. Superati il disgusto e le perplessità iniziali, aiutati dalla giusta predisposizione d'animo, "KTL" crescerà inevitabilmente con gli ascolti, svelando i suoi segreti, la sua dimensione mistica, le sue sfumature carpibili solo a volumi spropositati (i bassi poderosi, le liquide divagazioni dei synth, le terremotati vibrazioni nei rari momenti in cui gli strumenti s'incontrano e sembrano, fra un plotone di suoni e l'altro, comunicare fra loro).

"KTL" si rivela così una nuova folgorante rivisitazione del "Sunn O))) pensiero", probabilmente una delle migliori prestazioni di sempre di O'Malley, ormai padrone dei propri mezzi e perfettamente maturo nel plasmare le proprie visioni artistiche; qui più che mai a suo agio nell'amalgamare il suo inconfondibile gusto per l'eccesso ad un contesto più colto e raffinato.

Non so voi, ma io mi drono...

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