Sono passati più di cinque anni dalla pubblicazione del loro ultimo lavoro in studio “Black Anima”, al netto dell’uscita di “Comalies XX”, potente rivisitazione in chiave dark del celeberrimo omonimo successo del 2002, in occasione del suo ventennale.
Di mezzo c’è stata una pandemia, un album registrato a Milano in un Alcatraz deserto (Live From The Apocalypse), il tutto accompagnato dalla paura inconscia di doversi affidare al destino a tempo indeterminato. Una volta dissipate le nuvole, i nostri hanno potuto tornare alla normalità, carichi di ispirazione.
Anno 2023. Esce il primo singolo nuovo di zecca, dopo tre anni abbondanti di silenzio: “Never Dawn”. Da qui in poi, tra voci e promesse, passerà un altro anno e un singolo dopo l’altro arriveremo alla realizzazione di un mini ep, come di questi tempi (per fortuna o purtroppo) Major comanda.
Arriviamo ai giorni nostri. Il 14 febbraio 2025, giorno di San Valentino, i Lacuna Coil pubblicano il loro decimo lavoro in studio, “Slepless Empire”. Il cambio di rotta effettuato con “Broken Crown Halo”, di ormai tredici anni fa, continua a vele spiegate verso acque ancora più agitate e oscure. La vocalità di Cristina Scabbia vive una seconda giovinezza, come quella di Andrea Ferro, che ha fatto ormai completamente suoi lo scream e il growl, lasciandoci a tratti di stucco, al cospetto della veemenza “demoniaca” con la quale spinge le sue corde vocali.
Dopo il misterioso abbandono di Diego Cavallotti, le sei corde sono passate nelle mani di Daniele Salomone, mantenendo così una lineup completamente italiana, nonostante la nebulosa presenza scenica del nuovo chitarrista ci convinca sempre di più che si tratti di una soluzione ad interim, in attesa di una figura stabile.
Ma veniamo al disco. Dietro la copertina tetra e minimal, si nasconde un lavoro potente e sofisticato, con undici brani che tra loro vedono illustri collaborazioni. “Hosting the Shadow” ospita Randy Blythe dei Lamb of God, amico ed estimatore della band milanese. Troviamo invece Ashley Costello dei New Years Day nelle strofe di “In The Mean Time”, ad incrementare la presenza e il carisma femminile, se ce ne fosse bisogno, tra oscurità e melodia.
L’opening “The Siege” mette subito in chiaro le intenzioni. La sensazione è che sbuchi dalle tenebre, partendo trascinata dal doppio pedale e da un cantato che ci riporta indietro nel tempo.
Da qui in poi sarà un viaggio tra luce abbagliante e profonde tenebre. La voce di Cristina, con la sua enfasi melodica e le ottave che scorrono nel solito onirico saliscendi, si contrappone al cantato cupo e abrasivo di Andrea. Ci sono la rabbia e la sofferenza, insieme alla malinconia. Si parla del male intriso in una società che sembra aver accantonato la speranza, al di là dell’anestetico infuso dalla recente pandemia. Ce lo racconta “Oxygen”, tramite un video girato non senza difficoltà dalla frontwoman, immersa in una vasca d’acqua, mentre simula (ma non troppo) lo strazio del vivere senza poter respirare, oppressa dalla negatività e dalla superficialità dei nostri tempi.
“I Wish You Were Dead” si rivolge a chi ha vissuto una relazione tossica e si vuole liberare del ricordo. Anche in questo caso, come per tutti i singoli che hanno composto il mini ep, è stato realizzato un video molto significativo ed eloquente.
Pezzo dopo pezzo, ci accorgiamo del ritorno alle sonorità e melodie proprie degli esordi, con quegli archi che richiamano l’anima gotica, mai negata dalla band. È evidente in “Gravity” o dopo l’introduzione corale con incipit in latino di “In Nomine Patris”, che sembra estratta dalla tracklist di “Karmacode”, disco di ormai quasi vent’anni fa. In questa occasione, come con “Scarecrow” o per la titletrack “Sleepless Empire”, ci accorgiamo ancora una volta dell’utilizzo virtuoso delle corde di basso da parte di Marco “Maki” Coti Zelati, fondatore, produttore, anima e factotum della band. Se solitamente lo strumento a quattro corde ha un ruolo quasi marginale nell’amalgama del suono, per l’intera discografia dei Lacuna Coil la musica cambia, rendendo il basso protagonista assoluto.“Sleep Paralysis” è a detta di molti la traccia più complessa e sofisticata dell’intero lavoro. Cristina sale ad un livello estremo, portando le ottave verso una tonalità talmente alta da sembrare quasi esagerata nella chimica dei refrain. Il brige è affidato alla cupa voce di Andrea Ferro e sfocia su un piacevole assolo di Daniele Salomone, prima dell’ultimo ritornello.
Come ha spiegato in una recente intervista Cristina Scabbia, il titolo del disco si riferisce al nostro mondo, un impero che non dorme mai, in preda alla frenesia degli eventi, nonché alla velocità che impone lo stare al passo con le tendenze, le mode e i rapporti sociali. Questo lavoro serve a ricordare da dove tutto è iniziato, cioè da un’esistenza analogica, non priva di fatiche per sopravvivere e imporsi, che ha condotto a un presente digitale insperato e a tratti complicato, proiettato verso un futuro di speranza.
“Sleepless Empire” è un’opera molto ben fatta, frutto del percorso dello zoccolo duro di una formazione che dopo trent’anni dimostra di non aver interrotto la sua crescita.
Nessuna pausa sugli allori quindi, tra luci e ombre, sogni e incubi, partendo dalla nicchia del Belpaese, verso l’infinito e oltre.
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