Una delle più esaltanti invenzioni musicali che i Led Zeppelin hanno a futura memoria è stata un certo tipo di approccio stilistico definibile come heavy folk. La combinazione fra gli umori pastorali del chitarrista Jimmy Page, interessatissimo al folk nordamericano ma soprattutto britannico in specie attraverso le possibilità armoniche offerte dalle cosiddette accordature aperte sulla chitarra, s’incontrava con l’abilità del multistrumentista John Paul Johns (anche) al mandolino, il tutto poi energizzato e reso pesante, heavy appunto, dal trapestio sempre a tutta forza su tamburi e piatti del pestone a prescindere (ma con sentimento) John Bonham, nonché dalla capacità del cantante Robert Plant di passare all’istante da un timbro quieto e intimista al grido potente e drammatico, con relativa e doverosa impennata verso l’ottava superiore.

Cosicché, nella lunga lista di capolavori del quartetto, diverse canzoni possono venire incasellate in tale ambito: ad esempio quella “Ramble On” del secondo album, con le strofe amabili ed i ritornelli micidiali, oppure “The Battle of Evermore” dal quarto loro lavoro, col duetto fra la voce da usignolo della regina del folk Sandy Denny e la sirena incontenibile di Plant, ma anche l’immediatamente successiva “Stairway to Heaven”, giocante su un crescendo lunghissimo e continuo a partire dall’intimismo più quieto fino all’hard rock più muscolare e drammatico.

Non sfigura, fra queste magnificenze elettroacustiche, questa “Gallows Pole” che il gruppo decise di immortalare in occasione del terzo album di carriera. Page l’aveva carpita da un disco americano, ma l’origine del brano si perde nei secoli passati e nelle brume delle terre anglosassoni… un motivo tradizionale teso a raccontare di un tizio che supplica il suo boia di risparmiarlo abbindolandolo con i doni, oro argento e altro, che gli stanno per essere condotti dai suoi famigliari. La faccenda, almeno in questa versione zeppeliniana, finisce male perché malgrado i regali al malcapitato viene lo stesso infilato il cappio al collo.

I tre strumentisti del gruppo organizzano un crescendo continuo per tutti i cinque minuti di durata del pezzo, che accellera (parecchio: da 82 a 107 battute circa per minuto) e addiziona strumenti via via che procede. Inizia Page da solo, con una dodici corde assai effettata sulla quale la strepitosa voce di Plant appoggia le sue prime invocazioni; al momento del primo ritornello e dei primi urli del cantante il ritmo ha un deciso sussulto in avanti ed entra un bellissimo mandolino a raddoppiare ed arricchire la melodia vocale, oltre che una seconda chitarra acustica, stavolta a sei corde, ad ingrossare il groove sul canale opposto a quello della dodici.

Poche battute e arriva anche il basso di Jones, al solito cupo e caldo e corposo, per una seconda strofa già bella che concitata e urgente. Siamo già con l’ambiente folk parecchio scozzonato verso il rock ma bastano poche altre battute e arriva l’attacco poderoso di John Bonham, di una pienezza e fisicità impareggiabili ed insostenibili, doppiato da un nevrotico banjo (Page) che sembra proprio stringere il cappio, sottrarre aria, tempo, vita alla musica ed al protagonista dei versi.

Plant è ormai al parossismo, ma il ritmo accellera ancora, lui non smette di lottare contro il boia che lo vuole giustiziare ovvero contro il sublime fracasso di Bonzo, il bombastico pedalone del basso e lo sferragliare maschio degli strumenti acustici, ai quali va ad aggiungersi in assolvenza pure una psichedelica improvvisata di chitarra elettrica e uno strano coretto ”Eeeeappah”, o qualcosa di simile, di Page e Bonham, infilato su un’ultima traccia del mixer rimasta disponibile (tempi da otto piste, quelli…). Il treno in corsa tira avanti così per un buon minuto finchè si provvede pietosamente a smollare il colpo, facendo partire la dissolvenza con la divina caciara che si allontana progressivamente, non prima di aver esibito un terrificante, definitivo urlaccio di Plant.

Che figata! Hard rock col mandolino e il banjo, ma con uno come Bonham in sala macchine e la potenza del giovane Plant si poteva fare. Complimenti a loro.

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