Piazzato in chiusura di “In Through the Outdoor”, ottavo ed ultimo album realizzato in studio dalla celebre formazione britannica nel 1979, quest’intenso e strascicato soul blues rappresenta il degno crepuscolo d’una carriera impareggiabile, di lì a un anno brutalmente interrotta dalla disgrazia occorsa al batterista Bonham. Niente di meno, insomma, che l’ultima eccellenza di una lunga serie che ha fatto scalpore, tendenza e storia. Peraltro, a parere personale, l’unico capolavoro di un album per il resto non altrettanto generoso dal punto di vista dell’ispirazione e della qualità, specie se lo si parametra con gli altissimi standard mantenuti in quasi tutte le precedenti uscite.
L’introduzione del brano vede al proscenio il multistrumentista John Paul Jones, il quale distende una romantica apertura d’archi sintetizzati di grande effetto scenografico, anzi filmico, interrotta al suo apice dal primo tonfo di batteria, la quale instaurando un pesante tempo di walzer in sei quarti si porta a rimorchio una quieta e arpeggiante chitarra, impegnata insieme al basso in un giro che dal DO risolve al SOL passando per il SOL diesis, tutto sempre in modo maggiore. La faccenda insolita (e il Led Zeppelin di cose insolite, sia armoniche che ritmiche, ne hanno combinate parecchie nei loro variegati percorsi musicali) è che la tastiera di Jones evita di risolvere al SOL e rimane attestata sul diesis, mentre Page appena atterrato sull’accordo di chiusura vi aggiunge uno svolazzo di nona, quindi un LA. Insomma, la chiusura del giro armonico vede risuonare dei SOL, dei SOL diesis e dei LA ma… funziona alla grande!
Sopra tale struttura armonica l’inestimabile voce di Plant, in versione soffice e senza “spinta”, registrata molto accostata al microfono per renderla presente e carica di basse frequenze, prende a declamare l’ennesima ode alla donna amata, più o meno lontana, più o meno idealizzata, più o meno rispettata e per questo da supplicare (e. Al ritornello il timbro di Plant scivola in un attimo nell’urlo potente e chiaro che l’ha reso famoso, per poi ruggire definitivamente nel ponte, che apre al RE e al SOL per poi stringere in un sincopato di LA minore, generando una tensione immediatamente liberata nel successivo accordo. In questo tira e molla di urgenza e soddisfazione, di densità e di rilassamento, il formidabile groove batteristico di Bonham va a nozze e l’impareggiabile musicista dimostra tutta la sua sensibilità ed originalità anche in un tempo così lento e appoggiato.
L’assolo centrale di Jimmy Page, ad occhio e croce impegnato sulla prediletta Gibson Les Paul settata con entrambi i magneti inseriti, s’inerpica su per la strofa percorrendo poi ponte e ritornello, in un giro completo di canzone ad essa dedicato. E’ una faccenda estremamente istintiva e diretta, l’essenza dell’approccio blues alla musica qui in uno dei suoi esempi più eclatanti, senz’altro uno dei suoi migliori soli su disco.
Esordisce con un delicato e per niente facile lavorio sulla terza corda (SOL) pigiata al settimo tasto ma “lavorata” a puntino per ottenere due note contigue (MI e rispettivo bemolle), un’apertura molto emozionante e accorata. Seguono poi libere e liberatorie corse su e giù per la scala di LA minore, fintantoché il fraseggio si raccoglie nuovamente in poche note di attesa e di tensione, per poi esplodere al ritornello in un sonorissimo LA, preso sulla corda di cantino proprio per renderlo più argentino e metallico possibile. Ancora fasi concitate con grappoli di note e poi la salita verso gli acuti per il gran finale. E’ qui che la chitarra del maestro acquista la sua massima potenza espressiva, con poche note tirate con decisione e mirabile scelta di tempo, tutte di cuore fino all’ultimo, accorato LA, che va a morire in gloria un poco calante nella ripresa del giro armonico di strofa.
Il finale è una libera improvvisazione del gruppo su detto giro armonico, si sente che stanno suonando tutti e quattro insieme, caricandosi a vicenda. Bonham pesta di più e allora Plant recita con più concitazione le sue voglie e le sue preghiere (striscerò, striscerò…), il batterista si acquieta e tutti tolgono enfasi sui loro strumenti… è come si faceva musica una volta, tutti insieme in una stanza guardandosi l’un l’altro e creando il rock e il blues nella sola maniera autenticamente plausibile. La musica svanisce con l’ultimo rivolo di tastiera su un rivolto di DO che si prolunga sull’ultimissima invocazione del cantante.
Musica di Jones e di Page, testo e cantato di Plant, l’ultimo ruggito dei grandi prima della fine, ma non certo dell’oblio.
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