Lo so, è passato più di un mese dalla data del concerto, ma come a volte riteniamo necessario recensire album di anche più di 10 anni fa, così oggi ho avvertito il bisogno di recensire il concerto della dolce Lisa del primo aprile 2010.
La eterea Lisa, dalla voce appena roca, velata di cristallina sofferenza…
La immaginavo da sempre così, come un bicchiere di cristallo di Boemia in bilico su un tavolo, bellissimo, altero e tanto fragile. La sera del concerto ero agitata ed emozionata come un’adolescente; ed alla mia età è quasi un lusso, che mi gusto lentamente. Questo è almeno uno dei tanti motivi per cui amo questa donna, per quello che riesce a farmi “sentire”.

Sono arrivata al concerto con mezz’ora di anticipo, il locale per niente trendy era ancora semi vuoto, davanti al palco ancora nessuno. La gioia della certezza della prima fila.
Mentre mi guardo intorno, distrattamente, noto a pochi passi da me 2 figuri su un divanetto, con 2 birre ormai calde davanti, un uomo sui 40 e passa con una lunga coda di capelli bianchi ed un impermeabile sgualcito decisamente meno bianco dei capelli (Sebastian Steinberg), ed una donna, anonima, dall’età indefinibile, con indosso un paio di fuseaux che una volta dovevano essere di un nero deciso, una canotta dello stesso nero slavato ed un sottile golf blu elettrico ed informe, che le sta grande. Li guardo. Mi ricambiano, lei mi sorride. Non è possibile.. Ricorda la evanescenza dell’ultima Sandrelli, con una noncuranza al proprio look che neanche i sedicenni di una volta. E i capelli, raccolti in un’acconciatura stile “non ho avuto il tempo di sistemarli” (lavarli?) a ciuffi asimmetrici e mal distribuiti sulla fronte e terminanti in uno chignon instabile e precario come il mondo del lavoro di oggi. Ha anche un tot di anni segnati sul viso. “Ma è lei?” chiedo ai miei accompagnatori. Mi sa di sì.
Perdo l’attimo e con un balzo inaspettatamente agile sparisce nel back stage. Porca putt….era lei!
Ho l’espressione di un’imbecille, me la sento spalmata su tutta la faccia. Sorrido ancora frastornata.

Dopo più di mezzora di attesa finalmente le luci si abbassano ed eccola, la mia dea, vestita esattamente come prima ma con una canotta a sbuffo gialla al posto dell’imperdonabile maglia blu. Rido: mi ha completamente spiazzata, devo rivedere in cinque minuti l’immagine della evanescente musa di cristallo conservata nel cuore per anni. Ma va benissimo.
Apre il concerto con “Marypan”, brano introduttivo dell’ultima fatica che riproporrà interamente nell’arco della serata accanto ai classici successi di sempre. La guardo ammiccare, sorridere con sguardo sereno, suonare alternando allegramente la tastiera Hammond, il violino elettrificato e la chitarra elettrica mentre esegue i suoi pezzi o mentre accompagna nei suoi Philip Selway, felicemente autoprivatosi della famosissima band di Oxford di cui è batterista. Insieme i due hanno già portato avanti un progetto umanitario a scopo benefico dal nome “7 Worlds collide” ed ora hanno appena finito di lavorare al nuovo progetto solista di Selway.

Il concerto si snoda per quasi 2 sublimi ore ed attraverso i brani dell’uno e dell’altra arriviamo all’applauso finale ed ai bis, a richiesta. Interrompe a metà un brano perché non se lo ricorda più, ride senza ritegno, quindi chiude definitivamente con “Guillotine”, a me scende sincera una lacrima. I musicisti bravissimi, la sala è gremita di persone stipate ovunque.

Avendola sfiorata all’arrivo, decido che non posso lasciarmela scappare di nuovo e così aspetto, discutendo più volte coi buttafuori che volevano sgombrare velocemente il locale. Mi si accodano altre poche persone. Esce prima Selway, cui faccio i complimenti e chiedo come si senta ad essere sgattaiolato fuori dall’ingombrante ombra di Yorke e mi risponde che sta benissimo, che la dimensione dei piccoli club è la cosa di cui ha bisogno ora e che la serata è stata una soddisfazione, e mi autografa il biglietto.
Quindi eccola, di nuovo con la maglia blu dell’inizio, sistemata un po’ meglio sulle spalle, che ci supera velocemente perché deve andare in bagno… Quando torna, sono la prima della fila che si è creata per lei, le vado incontro e farfuglio quattro parole. Le chiedo come stia, se è davvero serena come è apparsa sul palco e sorridendo dolcemente mi dice di sì, che sta bene e che la serata è stata meglio di quanto si aspettasse, che siamo stata un’audience perfetta, tutti concentrati, silenti, emozionati, rispettosi, e dato che nel pomeriggio avevano guidato per ore e ore, questo era proprio ciò di cui avessero bisogno. Mi sorride, mi dice che è molto stanca ma contenta. Poi mi autografa il cd portatole apposta a questo scopo e mentre le dico che la sua musica mi emoziona enormemente mi stringe dapprima la mano ringraziandomi, quindi mi abbraccia forte e  mi bacia sulle guance.

Usciamo e ci dirigiamo verso la macchina, io camminando come su dei cuscinetti a sfera. La serata è limpida ed io sono felice come una cretina.

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