Io a questa ragazza voglio un bene dell'anima, con Little Boots, anzi, con Victoria, per me è e rimarrà sempre Victoria Hesketh, c'è stata un'immediata simpatia, fin dai primissimi ascolti: perchè viene dalla gavetta, perchè ha più contenuto che immagine, perchè è una DJ e musicista a tutti gli effetti, non una sagoma di cartone, perchè non è strombazzata dai media come certe assai meno meritevoli "colleghe", ma soprattutto perchè, secondo me, è veramente brava, forse il talento più cristallino emerso in questo specifico ambito disco-electropop anni 2000. Sa cantare, ha una personalità accattivante, mai leziosa, e il giusto equilibrio tra grinta ed eleganza, è creativa, capace di rinnovarsi, cimentarsi con evidenti svolte di stile e approccio. L'uscita del suo terzo album, dopo "Hands" del 2009 e "Nocturnes" del 2013, entrambi ascoltati, riascoltati e goduti a sazietà, era senza dubbio uno degli eventi musicali da me più attesi di questo 2015 e, ora che "Working Girl" è finalmente arrivato, che dire? Molte cose, prima di tutto che Victoria mi ha veramente messo alla prova, non c'è stato un feeling immediato come con i precedenti, questo ho dovuto riascoltarmelo parecchio per inquadrarlo bene, per poter esprimere una valutazione ben ponderata, e personalmente la vedo come una buona cosa. Qualche perplessità rimane, ma questo terzo album mi ha dato anche molte belle conferme: artista matura, intelligente e in continua evoluzione, direi che il passaggio dalla categoria giovani alla categoria big è ormai compiuto e WG lo ufficializza formalmente, con luci e qualche ombra.

In tre album, la signora Stivaletti (un omaggio alla Caligae, le calzature predilette del controverso imperatore Caligola per chi non lo sapesse) ha già mostrato un camaleontismo non comune: era partita nel 2009 con "Hands", album bello frizzantino, appariscente, tamarro quanto basta, per nulla snob, che non fa mistero di ispirarsi a sottogeneri come l'eurodance e l'italo-disco ma poi, alla soglia dei trenta, Victoria Hesketh smette di interpretare la parte della disco-girl sgallettata e su di giri; c'è chi a più di cinquanta ancora ci marcia sopra, ma la classe non è da tutti. Nel 2013 si ripresenta con "Nocturnes", più maturo, più eclettico, più raffinato nei suoni, nella veste grafica e nell'attitudine; è la sua consacrazione, segnata da un perfetto connubio tra idee vintage e moderne ed episodi di gran pregio come "Motorway", "Crescendo", "Strangers" e "Satellite". Un'eredità non semplice da raccogliere e Victoria decide, probabilmente a ragione, di sfruttare ancora una volta il suo innato trasformismo: copertina, artwork, videoclips, sound, testi, tutto è ideato e rimodellato secondo i dettami estetici della "nuova" Little Boots, una donna in carriera, razionale, minimale, un po' algida. Forse troppo? Un eccesso di self-control? Più cervello che cuore? Il problema è sostanzialmente questo, si fa un po' di fatica a stabilire un legame emotivo, confrontandola con quella acerba ma spontanea e coinvolgente di "Hands" e anche con la stilosa popsinger di "Nocturnes" questa nuova Victoria Hesketh appare inevitabilmente un po' asettica, eppure "Working Girl" rimane un lavoro molto interessante sotto vari punti di vista.

Con questo sound più sobrio e minimale rispetto al passato viene spontaneo prestare più attenzione al modo di cantare di Little Boots, e ci si accorge con facilità della sua bravura e di una personalità ormai pienamente definita: Victoria non può vantare chissà quale estensione e potenza vocale, però quello che ha (un timbro agile e sottile) lo sfrutta al massimo delle proprie possibilità e mai al di sopra, riesce ad essere ariosa ed espressiva modulando alla perfezione un cantato raffinato e suadente, che ben si sposa con la musica proposta; ci vuole più di qualche ascolto per apprezzare "Working Girl", e questo è possibile proprio perchè nella sua "sofisticata leggerezza" è un album che incuriosisce, anche se non "prende" fin da subito, riesce a farsi riascoltare più volte senza alcun problema, e di ascolto in ascolto cresce di valore. Un altro particolare interessantissimo di WG sono senza dubbio i testi, assai più curati e significativi della media del genere: alcuni di essi sono acute riflessioni di un'artista giovane ma non più giovanissima finita tra color che son sospesi, in bilico tra nicchia e mainstream, Victoria Hesketh sembra guardare al mondo dello spettacolo con una lodevole dose di freddezza e distacco, si capisce che stare relativamente ai margini non le dispiaccia affatto, più libertà, meno pressioni, meno possibilità di perdere la propria anima. In generale il talento di VH come songwriter spicca quasi in ogni episodio, soprattutto quando esce un po' dal personaggio e dai tailleur di cui fa ampio sfoggio in artwork e video rivelando un animo sensibile e sognatore.

Musicalmente le parole d'ordine sono finesse e sobrietà: domina un synth-pop minimale che trova la sua espressione più originale con "Better In The Morning", con il suo caratteristico andamento cantilenante, quasi una filastrocca pigra e vagamente surreale, midtempos raffinati come "No Pressure", l'estatica e sognante "Paradise" , la stessa "Working Girl", proposta anche in una bella versione piano/voce ed episodi un po' più sostenuti, "Get Things Done" e "The Game", piacevoli parentesi electro-funky, "Real Girl", più vicina alle sonorità nu-disco sperimentate in precedenza, "Business Pleasure", che ha l'attitudine di una piccola cavalcata on the road e il piacevole esperimento minimal-rap a'la Pet Shop Boys di "Taste It". "Help Too", ariosa e vellutata, rappresenta forse l'episodio migliore, sicuramente il più diretto e immediato, significativo il fatto che sia una ballad a ricoprire un ruolo simile: qui Victoria lascia scorrere libera l'emozione, non si percepisce quella vaga sensazione di potenziale inespresso che aleggia un po' su tutto il resto dell'album, "Heroine" in particolare.

Già, la pancia vorrebbe qualche disco-anthem come lo furono agli esordi "Earthquake" e "Remedy", li rimpiange, ma il cervello non può far altro che applaudire un album intelligente, variegato e concepito alla perfezione, perseguendo un concept ben preciso di sound e di immagine, dietro al quale si nascondono acume, ironia e spirito critico. Potrò non amarlo come "Nocturnes", potrà anche aver in parte disatteso le mie aspettative, ma di "Working Girl" non butto via nulla, di Victoria Hesketh non butto via assolutamente nulla, è un'artista che, passo dopo passo, si sta creando un proprio percorso, con creatività e qualità, in un ambito che le appartiene, senza ruffianerie e senza inutili pretenziosità. Mi sento fortunato, in un certo senso, a poter vivere "in diretta" la sua carriera e le sue evoluzioni, non si vive di sole glorie del passato, e trovare una realtà nuova che sia bella, interessante, e anche piena di piccole sorprese da seguire passo dopo passo è motivo di vera soddisfazione.


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