L’orso, un nome di una band che ha risuonato nella mia mente svariate volte negli ultimi mesi, tramite amici e conoscenti, ma che non ha mai suscitato in me profonda curiosità fino ad oggi. Su queste premesse, mi decido ed apro Spotify, dove trovo il loro ultimo album “Un luogo sicuro”, uscito a Marzo 2016. Inizio l’ascolto e traccia dopo traccia, titolo dopo titolo riesco in parte a cogliere il senso del nome dato all’album: un passaggio spazio-temporale tra ciò che è stato e che non sarà, tra ciò che è e che si vuole. Tre spazi in totale che scandiscono il tempo di ascolto, tre luoghi mentali e fisici interconnessi tra loro. Basta aprire gli occhi per iniziare il viaggio nello spazio (“Apri gli occhi siamo nello spazio (luogo 1)”) e chiuderli, quando si è trovato il proprio spazio (nel mondo): con questa ciclicità il disco comincia e termina (“Chiudi gli occhi siamo a casa (luogo 3)”).
Entrando nel vivo, la traccia più orecchiabile del disco è “Non penso mai”, leggera e musicalmente vivace, tanto da richiamare la superficialità e la volatilità del tempo, che rende tutto così trascurabile e al tempo stesso necessariamente necessario. Le riflessioni che non trovano completamento nello scorrere estremo della routine, il pensare al non pensare, hanno uno sfogo finale nello “spazio sicuro” dell’amore.
Andando oltre, “Esser felici qua” conferma come lo spazio certo che una relazione può e deve avere, è strettamente quello fisico conosciuto, qui dove si è; l’altrove non è concepito. La partenza per “là” opposto allo “qua” interrompe la serenità tanto ricercata, con l’amata.
“L’uomo piu? forte del mondo (scratch Dj Dust)” è la quarta traccia e rappresenta forse il pezzo più debole del disco sia da un punto di vista stilistico, che musicale; poco originale il testo, che non convince all’interno della dissonante cornice hip-hop in cui è racchiuso.
Siamo a metà del disco, chiave di volta per l’ingresso nel secondo luogo (“Io credo in te, la tua magia è? vera (luogo 2)”) e che sembra esser messo in discussione da un errore di punteggiatura, che rende il titolo una vera e propria domanda a metà strada. Non c’è più spazio per amare secondo le parole dell’autore. Perché scrivere e perché rimanere, affermazioni che lasciano spazio al vero e proprio dubbio amletico.
La successiva traccia richiama alla mia mente suoni già sentiti e dopo qualche ascolto, realizzo che (un po’ come tutto l’album forse) c’è un richiamo alle sonorità della band romana I Cani. Nella traccia è messa in evidenza la volontà di creare uno spazio fisico-temporale che non esiste ancora, che però sta prendendo forma prima della conclusione dell’album. Un mondo nuovo, che le mani dell’artista vuole ricercare e costruire. La malinconia di un amore passato che viene elaborata, alla ricerca del continuum del ricordo.
Sto arrivando quasi al termine del disco, che nel totale ha uno striminzito completo di 12 titoli; ancora non trovo nulla di particolarmente distintivo e che possa lasciare un segno. Infatti, le due successive tracce non fanno altro che analizzare ancora una volta il tema della malinconia e del rimpianto.
L’ultima titolo “Chiudi gli occhi siamo a casa (luogo 3)” è quasi liberatorio (non solo per L’orso, ma anche per me), con il ritornello finale ripetuto più volte che cita “Vorrei solo esser a casa…”. Il richiamo di un luogo noto e conosciuto come la casa: ecco il luogo sicuro a cui deve somigliare lo spazio che tutti cerchiamo in questa vita.
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