"Più vado avanti e più le differenze si assottigliano
Sia le brutte che le belle se la tirano
Giù da me si tira poi si impenna su una ruota
Quella della fortuna, ma poi vanno tutti a rota
tu odi multinazionali tipo Coca Cola
Ma ti scende roba bianca dal naso: coca cola"
Luchè si presentava all'anno 2016 come il rapper italiano più in forma sulla piazza. La sua strofa in "Sushi & Cocaina" di Marracash, incisa l'anno precedente, resta uno dei più vibranti e creativi momenti rap della storia recente: punchline su punchline, poesia e ironia, morte e strafottenza, cronaca cruda. Uscito con le ossa affrante e l'umore ammaccato dalla separazione dei Co Sang, a metà decennio Luchè stava mangiando metro dopo metro, avidamente, la distanza che lo separava dalla riscoperta di sè, del suo suono e della sua poetica.
"Malammore", uscito l'anno seguente, è uno dei più grandi dischi italiani di questo secolo. Una produzione impeccabile che sa di cassonetto bruciato, di pioggia pisciata sui vicoli, di club di coca disperata. Di Napoli e Milano, di notte. E sui beat scorre con passo pesante un Luchè in forma smagliante, amante con la pistola sotto il cuscino, gangster dal cuore amaranto.
"Volevo essere il blues di Chicago
Volevo essere il jazz di New Orleans"
"Violento" e "Il Mio Nome" incidono, tagliano, impastano rime come carne masticata. Sono i due volti della poesia cruda: violenza e voluttà, sangue e passione. Ma ci sono anche le carezze R&B ("Fin Qui", con CoCo sacro custode della melodia), i soffi pop ("Quelli di Ieri") e i torrenti di rime amare ("Cos'hai Da dire", "Il Mio Ricordo"). E la paraculata napoletana ("Per La mia città") in fondo puoi anche permettertela, se nello stesso album ci piazzi dei capolavori street-rap come "E' Cumpagn Mie" e sopratutto "O Primmo Ammore", gioiello di introspezione su quell'amore malato che tiene legati a doppio nodo alle arterie della strada più sporca ("Tu m'he dato 'nu nomme/ Tu m'he dato 'na fede/ Quanno 'sti preghiere serveveno a poco").
Tutto questo senza citare due granate come "Bello", pezzo di bragging duro assieme a Gue Pequeno, e "Che Dio Mi Benedica", sanguigna ballata sull'amore perso e l'amicizia obbligata, un pugnale a incidere il polso in curva lenta. Sono poi "Ti Amo" e "Andrò Via da Qui" a restare come lettere di un periodo passato, macchiato di dolore e orgasmi mai spenti. "Malammore" è un album che racchiude tutto ciò che si possa cercare in un'esperienza artistica: un viaggio nella sensibilità dell'autore e un frontale con la sua passionalità. È un'opera che tra un grammo spacciato a Sgarbi e una partita riscattata, ci narra del ciclo di caduta e rinascita di un uomo, e di tutto ciò che ci sta dentro.
"Mi fraintendi perché vengo dall’Inferno ma promuovo il Paradiso
Perché non parlo bene ma so cosa dire
Perché sono estremo ma ho tanti valori
Perché rappresento quello che non devi essere
Perché sono tutto quello che non conosci
Perché qualcuno ti ha detto la vita cos’è
E tu lo hai ascoltato"
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