Se, finita l'ora di matematica, rivolgendomi ai compagni, dicessi: "Via, andiamo a fare ginnastica", nessuno mi degnerebbe; se invece enunciassi : "Andiamo a fare gli esercizi obbligatori estetici", chi riderebbe, chi trasecolerebbe, chi rimarrebbe ammirato, e via che si va. E ancora: se ti chiedo un caffè caldo e me lo porti shakerato, non ci siamo fraintesi ma capiti all'inverso. Queste sono solo alcune delle tematiche facenti capo al subconscio inesplorabile di Pasquale Panella, che Lucio Battisti con pazienza certosina trasla in musica da "Don Giovanni" (1986) a "Hegel" (1994).

Musica che per Panella è un delitto, un inutile surrogato del quale farebbe volentieri a meno, al punto di limitarsi a mandare i suoi testi via fax, che poi se la vedano loro, io mica devo star lì a ottimizzare le strutture solo per far filare le note. Vorrei mai, Lino. Per "Hegel" accadde davvero così: driin, trrrt, brrr, arriva un fax, sono i testi, grande!

L'ultimo sospiro, l'ultima proposta di Lucio Battisti, poi il silenzio, poi la morte, è un capolavoro inesplorato che i soliti quaqquaraqqua della buia stanza dei campi di grano e dell'acqua azzurra hanno derubricato a belagh, ma dai, ma cos'è sta roba. Chi vi scrive non gliene vuole, perché se sei abituato a polipo e patate rigirato al microonde non puoi apprezzare il sushi così, d'amblè.

Peccato, perché "Hegel" è il semplice connubio tra la mostruosità delle parole campate in aria senza posa ma con grazia smisurata da Pasquale Panella e le melodie azzeccate di Battisti, mai così azzeccate in vero, perché calzano come un guanto di seta. Il lavoro di Andy Duncan alla produzione e alla parte ritmica e quello di Lyndon Connah alle tastiere e alla programmazione è ridotta al minimo: non ci sono innocenti evasioni, non c'è sosta alla linearità.

Prendete l'inizio, "Almeno l'inizio", perdonate il giochino. Sembra l'intro di una b-side dei Pet Shop Boys, invece è la frenesia di chi "non è di calore che hai bisogno, ma di un orgoglioso refrigerio". Poche balle: giro di basso, una batteria sintetizzata alla bell'è meglio, e mano alle tastiere. O la title track, talmente sobria da offrire all'intro e all'outro un ruolo di prim'ordine, e non è un caso. Lucio ci manda un messaggio: sì, Panella, tutto molto bello, ok, ma c'è anche la musica. Ritmo e poesia, ritmo e prosa: non c'è sosta, ma tutto si sistema perché "la corda tesa amò l'arco,e la tempesta la schiuma; il cuore amò sè stesso, ma noi non divagammo...." e l'intro di "Tubinga" quasi disturba, finché uno non capisce che è una sonora goliardata (vogliamo parlare del "frullatore nella testa di Seneca..." ?). "La Bellezza Riunita" è qualcosa di mai udito in un album di Battisti, né nel periodo bianco né mai, e rende merito al titolo sia musicalmente che stilisticamente (sì, Lino, parliamo di te): strofa, refine, refine, strofa. La bellezza si distende, si rialza, eccome. "La moda nel respiro" è une genialata, il punto più alto del disco. Si incupisce, poi fa luce. Un ispiratissimo Lucio a tenere a bada quel mattacchione del paroliere. "Stanze come questa" impenna, mette sul chi vive l'ascoltatore, avvolgente e tenace con il 'choir' che sintetizza voci umane tipo cantoria, e manco a farlo apposta arriva la lunga e sospirata meditazione proposta con "Estetica" e poi falsettata ne "La voce del viso".

"C.S.A.R.", (1992) il predecessore, era un disco meno chiuso. E' fratello minore/maggiore di "Hegel", perchè più compagnone, vedi episodi come "La metro eccetera" o la seducente "Cosa farà di nuovo", ma anche più esasperante, si spinge ai confini del moralismo con "Così gli dei sarebbero". "Hegel" è un ibrido tra una strizzata d'occhio e la mera filosofia che rimbalza contro un muro di gomma, ed il muro di gomma è l'ascoltatore. L'ha sempre sostenuto anche Panella, nelle rare occasioni in cui dà aria alla bocca per rilasciare interviste (quasi mai: bravo, Lino).

"Hegel" è una magnificenza di presa per il culo, lo sberleffo definitivo, il commiato disinteressato di Battisti. Elettronica, cuore, testa, e Panella. "Come chi si ritrare con il dito chiedendo silenzio: la totale pienezza di sé".

Già.

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