“Giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare”. È una frase che mi commuove sempre, quando la sento nei concerti di Lucio. Peccato che nel testo ufficiale sia scomparsa, come quei ladri e quelle puttane che guardano Gesubambino bestemmiare e bere vino. C'è tutta la vita e tutta la fede in quelle poche parole. Giocava alla Madonna. Esiste qualcosa di più bello da dire?

La genesi e l'evoluzione della canzone sono significative quanto la canzone stessa. Non sarà io a ripetervele, ma mi piace particolarmente, mi rende felice leggere che l'autrice del testo Paola Pallottino l'abbia scritto come ideale risarcimento a Dalla che era rimasto orfano a sette anni. Mi fa pensare che nell'arte, anche nella canzone pop che arriva terza a Sanremo, ci sia sempre una consolazione grande rispetto agli inciampi della vita.

E quale consolazione se non quella di abbracciare in Dio le manchevolezze dell'esistenza? Un gioco, un dramma e una gioia, divina e cialtrona, l'odore inebriante di mare e quello stravissuto delle bettole del porto. Contraddizioni che si annullano con una compostezza sorprendente, pacificata. C'è tutto, un respiro di vita e dignità. Una ninna nanna con le strofe da taverna.

Mi piace di più del Faber del Pescatore, per esempio. Non è un mero esercizio di bravura, c'è una partecipazione emotiva che fa pensare a questa storia come realmente accaduta, non c'è un solo istante in cui il profilo del protagonista e quello del cantante si discostino. Mia madre, si dice. M'aspettò come un dono d'amore. Stringendomi al petto. Sono immagini meravigliose e calate in prima persona esplodono nella loro potenza evocativa.

Gesù come figlio di un stupro o quasi, la Madonna mezza prostituta, il Padre soldato ucciso. Il figlio che finisce a vivacchiare nei bassifondi. Eppure questa canzone è un idillio, non c'è un solo momento in cui la tristezza prevalga, Non esiste qui la tristezza. Questo è il Vangelo e questo è il risarcimento morale di un'amica a Lucio.

Musicalmente sembra una canzonetta. E lo è in effetti. Un fischiettare leggero. Un giorno l'ho fatta partire e mio padre s'è sorpreso, iniziando a canticchiarla come quei pezzi da balera sulle donne e il vino. Ma va bene così, l'ho letto come il punto di contatto inaspettato tra il mio universo musicale e il suo, che altrimenti non si sfiorano nemmeno.

Poi, e giuro che dopo la smetto, la vicenda di Gesubambino mi ricorda tanto il romanzo di Elsa Morante, La storia. C'è Iduzza, c'è Gunther, c'è Useppe, la guerra e la morte, la vita nel disagio che fortifica. Il romanzo uscì un paio d'anni dopo la canzone.

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