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"Ci sono uomini che toccano il denaro come fosse energia" ( cit. Fausto Rossi Blues)

A nord di Brescia c'é un paesino che si chiama Nave. Dopo la seconda guerra mondiale, a Nave si inizia a produrre tondino, il cavo di acciaio che si mette nel cemento armato. Siamo nel periodo della ricostruzione, e il 70% del tondino nazionale viene prodotto qui, nelle ferriere di Nave e dintorni. Il margine di profitto è spaventoso, e i padroni di queste zone sono abituati a trattare gli operai come garzoni di bottega: li pagano una miseria, trattengono gli stipendi in caso di fluttuazioni economiche, chiedono straordinari che portano gli operai a lavorare anche 11 ore di seguito senza cambi turno. Si registrano i più alti tassi di incidenti sul lavoro della provincia, soprattutto in trafileria: il tondino viene piegato a mano e infilato con la forza delle braccia nel laminatoio, talvolta scappa dalle mani, e l'operaio ne viene tranciato.

I padroni riescono a mantenere per 15 anni questo stato di cose grazie ad una relazione diretta, individuale e paternalista coi propri operai: li invitano a bere a turno finito e gli forniscono prestiti per comprarsi l'automobile, così anche loro possono godere del miracolo economico.

Poi sono finite le braccia e c'é domanda di forza lavoro, allora arrivano i meridionali: a loro il padrone la macchina non gliela compra, li paga la metà, così poco che sono costretti a dormire a turni in baracche. Troppo poco, e allora succede che si incrina, per la prima volta, lo strapotere padronale: i terroni hanno l'ardire di chiedere un aumento, e per favore se gli straordinari ce li puoi mettere in busta paga. Il primo operaio che lo chiede, viene spedito a scavare una buca nel cortile della fabbrica. Quando ha scavato così tanto che non lo si vede più, il padrone gli urla di ri-riempirla. Non somiglia più tanto al babbo bonario di prima. È il 1970. Si organizza il primo sciopero, la FIOM entra, in ritardo di anni rispetto al resto della provincia, per la prima volta nelle fabbriche di Nave. Comini, il padrone, risponde con la serrata. Si contratta, la FIOM riesce a farsi riconoscere tutte le sue richieste (praticamente solo salariali, mentre nel resto delle fabbriche della provincia si avanzavano richieste sulla qualità e sul tempo di lavoro), ma il padrone non le rispetta. Secondo sciopero, seconda serrata di una lunga serie di scioperi e serrate. Si resta di nuovo tutti per mesi senza stipendio, e si campa con le raccolte fondi delle industrie della città, da cui arrivano anche i rinforzi per i picchetti. Anche Confindustria Brescia inizia a guardare a Nave, alla sua gestione del "problema rosso" a suon di serrate e violazioni di accordi sindacali. Tosto sto Comini! Gli iniziano a dare ruoli sempre più prestigiosi per la borghesia industriale: ad un certo punto lo fanno presidente del Brescia calcio.

Ma ad un certo punto nemmeno le serrate funzionano più, e dopo le serrate, si iniziano a chiamare i fascisti.

Comini e altri industriali della zona organizzano una cena con Almirante e gli pagano la campagna elettorale nelle circoscrizioni bresciane, si circonda di mazzieri della Cisnal, le aggressioni si moltiplicano. Alcune figure politiche cittadine chiedono esplicitamente a Confindustria nazionale di dissociarsi dalla gestione sanguinaria di Comini. Confindustria nazionale non risponde, anche loro guardano con interesse a questo modello di gestione dell'ordine in fabbrica.

È il 1973, ormai è chiaro che le battaglie di Nave non sono più scaramucce sindacali di una periferia di provincia arretrata e dimenticata da dio: hanno una rilevanza simbolica nazionale. Quando si sciopera a Nave, si sciopera anche in città.

Per i fascisti non basta più solo pestare: iniziano a mettere bombe, prima alla sede del PSI, poi davanti alla CISL, poi salta per aria Silvio Ferrari, diciannovenne militante in Ordine Nuovo, mentre trasporta esplosivo con la sua vespa.

Quando viene lanciata una manifestazione antifascista a Piazza Loggia per la mattina del 28 maggio 1974, è tutto questo che i compagni e le compagne vanno a denunciare con la loro presenza fisica in piazza: non una generica denuncia contro il fascismo, non una protesta contro la violenza e per la libertà di parola. Vanno in piazza specificatamente contro il fascismo come strumento della violenza padronale, che vuole ridurre a braccia obbedienti degli esseri umani e massacra chi chiede una vita degna, la solidarietà di Confindustria, il silenzio complice dello stato.

Tutto questo è stato ridotto nelle narrazioni sulla strage a formule come: apparati dello stato collusi, servizi segreti deviati, terrorismo nero, anni di piombo, quando va bene. Quando va male, tipo quest'anno, sale sul palco (telematico) a parlare il figlio di Bachelet, perché quegli anni sono stati proprio brutti brutti e fortuna che son finiti.

No. Non si spiega una bomba a Brescia così. Brescia non è Bologna, non è Milano, sarebbe un buco di culo se non fosse per le sue industrie. La storia della Strage di Piazza Loggia inizia lì dentro, ed è una storia di lotta di classe.

Clara Zecchini

28 maggio 2020

PS qua una notiziola per farvi capire come sono bravi certi imprenditori italiani... correva l'anno 1985. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/10/19/contatori-truccati-brescia-per-rubare-energia-elettrica.html


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