.:. Alessandro Baricco ricorda Carmelo Bene .:.
Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui.
Perduto, insomma.
Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una lettura dei "Canti Orfici" di Dino Campana.
L'ho mancato per un pelo un sacco di volte, e alla fine ci sono riuscito a trovarmi una poltrona, in un teatro, con davanti Lui.
A Napoli, all'Augusteo.
Scena buia, solo un leggio.
Lui, lì, con una fascia sulla fronte alla McEnroe, e dei segni di cerone bianco sotto gli occhi.
Un microfono davanti alla bocca, e una luce addosso.
Cinquanta minuti, non di più.
Non so gli altri: ma io me li ricorderò finché campo.
Non è che si possa scrivere quel che ho sentito.
Né cosa, precisamente, lui faccia con la sua voce e quelle parole non sue.
Dire che legge è ridicolo.
Lui diventa quelle parole, e quelle non sono più parole, ma voce, e suono che accade diventa ciò-che-accade, e dunque tutto, e il resto non è più niente.
Quando sono uscito non avrei saputo dire cosa quei testi dicevano.
Il fatto è che nell'istante in cui Carmelo Bene pronuncia un parola, in quell'istante, tu sai cosa vuol dire: un istante dopo non lo sai più.
Così il significato del testo è una cosa che percepisci, si, ma nella forma aerea di una sparizione, senti il frullare delle ali, ma l'uccello non lo vedi: volato via, così, di continuo, ossessivamente, ad ogni parola.
E allora non so gli altri, ma io ho capito quel che non avevo mai capito, e cioè che il senso, nella poesia, è un'apparizione che scompare.
Se senti Carmelo Bene capisci che il suono non è un'altra cosa dal senso, ma la sua stagione estrema, il suo ultimo pezzo, la sua necessaria eclisse.
Ho sempre odiato, istintivamente, le poesie in cui non si capisce niente, neanche di cosa si parla.
Quel che bisognerebbe saper scrivere sono parole che hanno un senso percepibile fino all'istante in cui le pronunci, e allora diventano suono, e allora, solo allora, il senso sparisce.
Tu senti Carmelo Bene e il poeta sparisce, non esprime e comunica niente, l'attore sparisce, non esprime e comunica niente: sono sponde di un biliardo in cui va la biglia del linguaggio a tracciare traiettorie che disegnano figure sonore: e quelle figure, sono icone dell'umano.
Non spiega quasi nulla, Carmelo Bene, durante lo spettacolo.
E quando lo fa lascia il segno.
Dice: leggere è un modo di dimenticare.
L'avevo anche già sentita: ma è lì, che l'ho capita. Scrivere e leggere stretti in un unico gesto di sparizione, di commiato.
Allora ho pensato che poi uno nella vita scrive tante cose, e molte sono normali: cioè raccontano o spiegano, e va bene così, è comunque una cosa bella, scrivere.
Però sarebbe meraviglioso una volta, almeno una volta, riuscire a scrivere qualcosa, anche una pa