Dal giorno in cui hanno vinto il Festival di Sanremo con “Zitti e buoni” i Måneskin hanno avuto un successo incredibile e inatteso, che li ha portati a trionfare clamorosamente allo Eurovision del 2021. In seguito, la band romana scoperta a X Factor ha fatto registrare il tutto esaurito negli innumerevoli concerti in giro per il continente ed è riuscita a ottenere visibilità persino negli Stati Uniti, come testimoniano le ospitate al celebre show condotto dal comico newyorkese Jimmy Fallon.

È senza dubbio difficile dare una spiegazione al caos scatenatosi nell’ultimo periodo, tuttavia una cosa è certa: grazie ai Måneskin i ventenni si sono riavvicinati al rock, un genere che da tempo veniva dato per defunto e che nelle playlist di molti under 30 è stato quasi completamente soppiantato da sonorità appartenenti all’universo urban (rap, trap, nu-soul, etc…).

In una simile situazione, è lecito chiedersi se Damiano e soci abbiano sfondato in seguito a un’imponente campagna di marketing basata sulla loro immagine vincente (sono carini, ben vestiti, tengono il palco alla grande) e se la materia prima, vale a dire la loro proposta musicale, sia stata consapevolmente tenuta in secondo piano, a causa di evidenti limiti compositivi già emersi nei primi due lavori del gruppo.

Il 2023 si presenta quindi come un autentico banco di prova per i giovani rocker. Non a caso è proprio all’inizio del 2023 che viene pubblicato Rush!, terzo album anticipato da alcuni singoli i quali, al netto di qualche scopiazzatura a dir poco esplicita (il riff di chitarra di “Smells Like Teen Spirit” neanche troppo camuffato in “Supermodel”), hanno fatto tutto sommato ben sperare.

Registrato in parte a Los Angeles sotto la guida del produttore svedese Max Martin, noto per aver curato il sound di autentiche hit come “…Baby One More Time” di Britney Spears e “I Want It That Way” dei Backstreet Boys, Rush! segna il vero e proprio debutto internazionale dei nostri eroi e non fa che confermare, almeno in parte, le impressioni ricavate dall’ascolto delle loro precedenti prove.

Nei cinquantadue minuti di Rush!, infatti, i Måneskin attingono da un immaginario piuttosto ampio (la new wave filtrata dalla lente pop dei Franz Ferdinand, il crossover stile Red Hot Chili Peppers, le ballad alla Hoobastank, etc…) e lo associano a un’attitudine smaccatamente catchy e mainstream.

Da questo punto di vista non ci sarebbe nulla da obiettare, poiché molti artisti hanno provato ad ammorbidire le spigolosità del rock e a renderle fruibili dal grande pubblico. Il problema, semmai, risiede altrove: nelle pose irriverenti che gli hanno cucito addosso e che personalmente trovo finte, costruite a tavolino; nella mancanza di grande creatività e in alcuni testi un po' banali; nella scaletta esagerata, dove notiamo più di un pezzo che sarebbe potuto restare nel cassetto; nelle maldestre incursioni nella lingua di Dante, quasi completamente da dimenticare (i brani, va ricordato, sono cantati quasi tutti in inglese).

Il panorama offerto da Rush!, insomma, non è del tutto convincente. Tolti i singoli, più o meno riusciti (mi è piaciuto soprattutto “Gossip”, dove troviamo addirittura Tom Morello alla chitarra elettrica), restano una sequenza di brani in italiano da depennare e dei momenti bruttini (il post-punk di "BLA BLA BLA" e "MAMMAMIA", ad esempio) che non amplificano quella scarica di adrenalina che vorrebbe suggerire il titolo.

Qualcosa di salvabile c’è (la conclusiva "The Loneliest", un lento a suo modo emozionante; i cori dell'aggressiva "Gasoline", caratterizzata da una sezione ritmica notevole), ma non riesce a riscattare un album incostante, compromesso anche dalle liriche immature, in bilico tra provocazioni innocue, frequenti allusioni al sesso e solite turbe amorose/giovanili.

In conclusione, Rush! è un LP che, pur contenendo delle tracce riuscite, non rende giustizia al fenomeno Måneskin e lo rivela per quello che è: un prodotto costruito ad arte dalle etichette discografiche e gettato troppo presto nella mischia.

Damiano, Victoria, Ethan e Thomas sanno suonare, cantano bene, parlano un inglese eccellente e si divertono quando si esibiscono dal vivo, peccato siano una band ancora lontana dalla maturità e incapace di lasciare un segno.

Se lavoreranno sodo o troveranno un team produttivo degno, in grado di scrivergli i pezzi e scremare a dovere la tracklist, forse riusciranno a invertire la rotta. Arrivati a questo punto, però, dubito che possano riservarci grandi sorprese.

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