Una copertina da sogno/incubo che sembra uno spoiler, più di dieci anni prima del film, su una scena di Inception.
Palazzi ammassati, uno accalcato sull’altro quasi per conquistare un posto in prima fila sullo spettacolo dell’uomo che attraversa la strada.
Quasi un’inversione di prospettiva.
Non più un gruppo di essere umani che si ammassano per assistere agli ultimi istanti di vita e alla demolizione di un vecchio palazzo, o di una vecchia centrale elettrica.
In copertina, palazzi, come ce ne sono miliardi al mondo, simboli perduranti del dominio umano sul pianeta Terra, che osservano un uomo solitario attraversare la strada di una qualsiasi città del mondo occidentale.
Uomo di fine secolo, partito chissà da dove.
In fuga dal presunto mito di Dio e, solo per strada, finito in quello dell’Io, destinato a sbattere contro se stesso e il suo istinto di autoconservazione.
Testi criptici per fornire una visione allucinata e allucinante sull’esistenza di una umanità inconsapevolmente disperata.
Preda ed ingannata da falsi movimenti della storia.
Egocentrica e ultra-raziocinante.
Con alla fine del cammino, però, quando tutto è perduto, senza voltarsi, la consapevolezza di un meraviglioso declino e una speranza di redenzione dettata dal cuore e da una fratellanza umana senza confini.
Un po’ di retorica, nei testi, e tanta raffinata fantasia compositiva ed esecutiva, nella musica.
Tropicalismo e suoni da favelas, sperimentazione pop.
Archi tremolanti nodi alla gola.
Welcome to the machine e Radiohead.
Fantasma di Tim Buckley nel finale.
A conti fatti uno dei dischi più belli della fine del secolo che fu.
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