L'America ragazzi! Il grande continente, terra fertilissima di coltivazioni musicali, è stata (ed è) una fucina impressionante di talenti, che hanno relegato la loro fortuna commerciale a decisioni più o meno felici nelle loro scelte di vita. L'istinto, per un musicista ha sempre giocato un ruolo determinante nel dirigere le proprie forze, il proprio potenziale, per scalare le vette dell'Olimpo, aldilà delle intrinseche qualità, ma ancora più a formare e determinare lo stile di un artista.
Confluire e organizzare la carica creativa richiede tempi e modi soggettivi, ma è pensabile che la pianta possa crescere sana e forte senza l'ausilio di condizioni e climi ideali, ad evolvere nel tempo? Non credo, ma questa futile teoria generalista viene immediatamente smentita quando veniamo a parlare di un "talento innato" come Eric Johnson da Austin, Texas e della sua giovane età, sedici anni appena, in quella che viene definita una delle più sorprendenti esperienze hard-blues dell'intero panorama americano, ovvero: "Mariani", con il suo unico "Perpetuum Mobile" del 1970. Classico power-trio dalle radici southern, che vede nelle sue file il batterista Vince Mariani, (da qui il nome della band), (sostenne un provino per gli Experience di Hendrix) ed il bassista Jay Podolnick. Diciamo, genere hard, dal taglio blues con spiccate tendenze psichedeliche. Soffia un forte vento californiano sul deserto del Texas, questo vento si chiama "Blue Cheer" (una variante dell'LSD), inutile negarlo, ma la fulgida stella del precoce talento Eric Johnson, brilla lucente nel cielo texano. Il nostalgico riferimento al gruppo di San Francisco e del suo chitarrista Leigh Stephens è d'obbligo, non solo per il latinismo dei titoli dei due debutti ("Perpetuum Mobile / "Vincebus Eruptum"), quanto per la violenta gragnola di note scaricate nelle svisate improvvise delle sequenze solistiche. Johnson è stato il più claptoniano dei chitarristi hendrixiani, almeno all'inizio della sua carriera, poi fedele solo a se stesso.
La sua mano adolescenziale, masturbava forsennatamente senza indugi, il manico della sua "strato" e le dita, (come piedi di ballerina sopra un palco scottante) titillavano le corde sulla tastiera velocemente, rispetto all'illustre "Slowhand". Mentre a tratti, un effettistico eco, dai colorati viraggi del "Divino" Hendrix, rintronava fra i canyon assolati del profondo sud, come stormi d'uccelli passeggeri, a trasmigrare verso lussureggianti mete. Non per caso il più hendrixiano dei chitarristi del continente americano, risponde al nome di Frank Marino, canadese doc. "Perpetuum Mobile" rappresenta un punto di congiunzione per quell'esperienza anarcoide, dura e rabbiosa degli "Wild Angels" in corsa, che parte da Detroit sul lago Michigan, per giungere a Chicago e corre lungo la "Mother Road", con la mitica "Route 66" fino a Los Angeles, non prima di esser scesi giù, fino agli aridi deserti del sud texano. In pratica dagli Stooges, MC5, a Mariani, fino a Blue Cheer e Other Half. Questa esperienza di contro cultura suddista, non centra nulla con quelle trasmigrazioni dell'"American Dream" reinterpretato, dalle sognanti aggregazioni hippies californiane (Grateful Dead, jefferson Airplane, Quicksilver); assomiglia più a quella drammatica presa di coscienza alla Velvet Underground, che dell'alienante auto-tortura metropolitana, opta invece per il grido selvaggio e liberatorio delle performances live. I Velvet Underground metteranno le basi per l'evoluzione claustrofobica della musica, che arriverà nella sua evoluzione, a identificarsi con gli ecomostri (sonanti) dell'archeologia post-industriale; mentre gli Stooges (stage diving), gli MC5, svilupperanno quell'attitudine ai bagni di folla, inneggiando alla "libertà" e alla "fuga" verso l'ignoto. Il suono si farà pesante, denso e caldo, ricco di connotazioni emozionali, nascerà un genere che nell'interpretazione southern, si arrichirà di propulsione melodica, rispetto il resto geografico. Tale carattere verrà trasmesso anche dalle sue origini "soul". La strada, partita dai laghi, porterà a intravedere i miraggi spettrali del sole cocente, dei desolati spazi desertici, descritti magistralmente da Ry Cooder in "Paris-Texas", nel 1985. Propulsione alla ribellione e rivalsa di potenza a "sorsate di veleno sputato" sulla società borghese, queste ragioni evolveranno irreversibilmente verso "il nulla".
Il Texas con Austin, sarà una tappa irrevocabile, ma anche un "luogo temporale" (The 13th Floor Elevators) di questa affascinante, quanto assurda avventura artistico-filosofica, chiamata "psichedelia". Tale ondata verrà placata in parte, da Jonny Winter e ZZ Top, fino a sfociare nel delta dell'heavy rock, una sorta di paradiso pop dall'iperbolico effetto catartico, dove le primordiali e spontanee pulsioni animalesche incarnate dall'hard, rinsecchite come "crepe della crosta desertica", lasceranno il posto al gigantismo sonoro e alla "meraviglia" scenica delle vetrine metal. L'apoteosi "barocca" del suono, svuotato dei contenuti psichici e della primordiale arcaicità, insito nel primo ideale manifesto di hard rock maturo (Cream: "Disraeli Gears" / Blue Cheer "Vincebus Eruptum"), prenderà il posto, alla fine degli anni '70.
"Perpetuum Mobile" invece, conserva la durezza trasmessa dalle origini hard, diluendo il suono con l'acido giusto, nei cambi di situazione, nel reverbero della voce e nel feedback della chitarra, per guidare l'ascoltatore a sostenere il peso sonoro con il minimo sforzo, una sorta di antigravitazione percettiva, molto aperta. Questo disco è un "flusso di coscienza", che dal claptoniano blues "Lord, I Just Can't help Myself",. alla hendrixiana "Things Are Changing", scorre inarrestabile sul fiume dei ricordi. Ma una cosa è certa, esso pone al centro la stupefacente bravura tecnica del suo giovane chitarrista. Tenete sempre presente la sua età mentre ascoltate pezzi come "Searching For A New Dimension", "Re-Birth Day" o "The Unknow Path" e la lunga "Euphoria", questi svelano la strabiliante duttilità di Eric Johnson. ma quanto è bravo questo "ragazzo del sud"! Pensate che bisogna aspettare fino il 1981 per trovare un disco firmato a suo nome, "Eric Johnson", ragazzi , ricordate questo nome. pensate che è stato premiato per ben sei volte consecutive, come "miglior chitarrista dell'anno" dalla critica americana. Visionando qualche suo video, vi renderete conto di quanta tecnica egli sia dotato, della facilità di approccio allo strumento e dello sconcertante virtuosismo.
Oggi, la sua chitarra non trasmette più le emozioni di un tempo, mancano le premesse e "i remi ora, sono stati tirati in barca", ma è sufficiente per porre questo straordinario chitarrista nei primi venti posti di quell'Olimpo del rock, tanto caro a noi tutti.
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