Il Festival di Sanremo, si sa, è un appuntamento irrinunciabile per milioni di italiani e motivo di aspre critiche per altrettanti. C’è chi lo ama e non se ne perde un secondo e, viceversa, chi proclama a gran voce di non averlo mai guardato neanche per errore (sarà vero, poi?).
Al di là delle opinioni, è innegabile che il “festivalle” generi dibattiti accesi, monopolizzando i media con i soliti giudizi sugli abiti dei cantanti in gara e le polemiche relative alle esilaranti gaffe del conduttore di turno.
Inutile dire che a farne le spese è proprio la musica, spesso relegata in secondo o in terzo piano. Un vero peccato, perché Sanremo è un calderone che ha visto passare dalle sue parti un po’ di tutto, da canzoni storiche come “Un’avventura” di Lucio Battisti a brani enigmatici come “La croce” di Alessio Bonomo, senza dimenticare perle trash come “Tu con la mia amica” di Maria Grazia Impero, l’imbarazzante “Caramella” di Leo Leandro e “Italia amore mio”, eseguita da un improbabile trio composto da Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici.
Nel mezzo c’è un pugno di belle canzoni dalle alterne fortune, presentate da artisti che hanno cercato di proporre qualcosa di diverso dalle melodie e dalle orchestrazioni tipiche del Bel Paese. Tra queste merita di essere ricordata “Un inverno da baciare”, uno dei quattordici brani in gara al Festival di Sanremo del 1999. A cantarlo c’era Marina Rei, giunta alla terza partecipazione alla kermesse dopo il successo di “Al di là di questi anni” (terza classificata tra i giovani nel 1996) e il tredicesimo posto conquistato nel 1997 con “Dentro me”.
Premessa necessaria: quell’anno e nel 2000 la conduzione viene affidata a un giovane Fabio Fazio, allo scopo di svecchiare la competizione e renderla più appetibile agli occhi (e alle orecchie) delle nuove generazioni. Spazio dunque a Max Gazzè, Soerba, Subsonica, Carmen Consoli, Gianluca Grignani, Quintorigo, Tiromancino e Alex Britti, i quali, insieme a musicisti più affermati come Anna Oxa e Nino D’Angelo (apprezzabile la svolta etnica della sua “Senza giacca e cravatta”), si trovano a dividere il palco con “dinosauri” del calibro di Al Bano, Gatto Panceri e Gianni Morandi, classificatosi addirittura terzo al primo Sanremo del nuovo millennio.
In questo contesto si inserisce “Un inverno da baciare”, vero spartiacque nella discografia di Marina Rei. Il pezzo abbandona infatti le sonorità black dei primi due album, influenzate dal soul e dal funk, per lanciarsi in un algido electro-pop dove drum machine e tastiere si mescolano alla strumentazione live (inevitabili i paragoni con Ray of Light di Madonna e, in generale, con i tentativi di inserire l’elettronica nel mainstream dell’epoca).
La cantautrice romana si adegua ai nuovi tappeti musicali, modulando la propria voce fino a toccare note alte che creano un mood esotico, a tratti orientaleggiante. Il testo è suggestivo ed esprime la malinconia di una donna lontana dal suo uomo, attraverso riferimenti al mare e all’inverno molto diversi dalle atmosfere del singolo “Primavera”, uscito solo due anni prima.
Il momento più emozionante è costituito dal ritornello, in cui la cantante chiama a sé il suo amato, invitandolo a superare le proprie paure e a unirsi finalmente a lei (“Non sogni più, non ami più/Passano gli anni e tu dove sei/Io sono qui a dirti che non ho più paura”).
Questa rivoluzione sonora viene accompagnata da un notevole cambio d’immagine: smessi infatti i panni un po’ bohémienne del passato recente (piedi scalzi, percussioni, grande sensualità), Marina si presenta a Sanremo con un look quasi cyberpunk, a metà strada tra Blade Runner e Lara Croft, l’eroina del videogame Tomb Raider del quale viene emulata la grafica nel videoclip (a dire il vero bruttino e abbastanza datato).
Il brano riscuote un meritato successo e si piazza al settimo posto nella classifica finale, non riuscendo tuttavia a vincere né ad accedere alle prime tre posizioni (occupate nell’ordine da Anna Oxa, Antonella Ruggiero e dalla rediviva Mariella Nava).
Dopo la ristampa dell’album Anime belle arricchita dalla traccia sanremese e l’uscita del singolo “L’allucinazione”, la carriera di Marina Rei subirà una battuta d’arresto. Nel 2005 parteciperà di nuovo al Festival (ancora una buona edizione, presentata dal loquace Paolo Bonolis), ma stavolta le cose andranno peggio e “Fammi entrare” verrà eliminata senza giungere alla serata conclusiva. Restano un paio di greatest hits e alcuni dischi che, pur rivelando un certo talento, non otterranno grande visibilità.
Ciò non toglie che la songwriter capitolina abbia dimostrato di saper scrivere belle canzoni e sia riuscita a distinguersi nel panorama musicale italiano, scegliendo sonorità raffinate (verrebbe da dire “diverse”) e dal chiaro respiro internazionale. E “Un inverno da baciare” ne è senza dubbio una delle prove migliori.
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