Smaltiti pranzi e cenoni natalizi? Vi sentite sempre più insofferenti verso tutta quella retorica di buoni sentimenti, intrisi di melassa, che vanno per la maggiore in questo periodo festivo? Beh, se cercate un antidoto in ambito cinematografico non c'è niente di meglio che andare a ripescare e rivedere qualche film risalente ad anni fa, ma che non dimostra la sua età per il piglio con cui affronta certi temi pur sempre attuali se non universali. È proprio il caso di riprendere in considerazione "Fuori orario" (titolo originale "After hours") , diretto da Martin Scorsese nel 1985. Una pellicola già particolare di suo se si considera che viene solitamente qualificata come opera minore di un grande autore prolifico come Scorsese, ma è ben risaputo che la bravura di un regista traspare in questi cosiddetti film minori.

Reduce da un inspiegabile (a mio avviso) flop commerciale come "Re per una notte", Martin Scorsese iniziò le riprese della nuova opera disponendo di un budget contenuto, a cui contribuì lo stesso attore Griffin Dunne nei panni del protagonista Paul Hackett. Questi lavora in qualità di programmatore informatico in una corporation americana con sede a New York. Ricopre quindi un ruolo di rilievo in quello che dovrebbe essere un ambiente di lavoro stimolante, proprio in quegli anni 80 del secolo scorso che costituirono l'età d'oro per l'edp processing. Giusto per dare un'idea fu a metà di quel decennio che la rivista Time dedicò la copertina al PC con sistema operativo Dos nominandolo uomo dell'anno (che Zeitgeist...) .

Ma Hackett, pur con queste grandi premesse, avverte di non condurre un'esistenza appagante, vorrebbe provare forse il brivido dell'imprevisto proprio nel dopo lavoro (il cosiddetto fuori orario) e l'occasione si presenta una sera quando, complice la lettura di "Tropico del cancro" di Henry Miller, in una caffetteria attacca bottone con una bionda sconosciuta di nome Marcy (l'elusiva ed enigmatica Rosanna Arquette). Ricevuto il suo numero di telefono, la sera stessa Paul coglie la palla al balzo chiamandola per andare a trovarla. Da quel momento finirà risucchiato in una girandola di eventi in cui, sballottato di qui e di là, metterà a repentaglio la sua stessa incolumità fisica per uscirne fortunatamente incolume ma comunque segnato interiormente da quanto accaduto.

Girato con un ritmo incalzante, a tratti angosciante, e tale da mantenere viva l'attenzione dello spettatore, "Fuori orario" può vantare vari punti di forza nel suo assetto. Intanto, l'avvio è proprio notevole in quanto, sulle gradevoli note di una composizione di Mozart, si nota in piena attività il protagonista Hackett mentre illustra alcune procedure operative ad un collega neo assunto. Questi, intanto, gli confida che le sue aspettative di carriera lavorativa non coincidono con quanto sta svolgendo in quel momento, ma Paul Hackett non ascolta attentamente, il suo sguardo osserva semmai le circostanti scrivanie nell'open space aziendale. Ecco qui una chiara esemplificazione del concetto di alienazione lavorativa delle singole persone. Resa cinematograficamente al meglio (e in modo più efficace di tante opere di Antonioni), come non riuscirebbero vari trattati di filosofia e sociologia dedicati al l'alienazione dell'uomo moderno nelle società moderne.

C'è poi, in tutta la trama, una nota di sottile misoginia da parte di Scorsese. Non passa inosservato il fatto che il protagonista maschile si imbatte, nel corso di questa lunga nottata, in varie donne (fra le varie non solo Marcy, ma anche la sua amica scultrice Kiki, poi una petulante barista) con le quali parrebbe profilarsi l'eventualità di un'avventura erotica. Ma poi, per strani imprevisti, tutto sfuma e tali donne si sottraggono. E dire che in qualche modo l'ingenuo Paul avrebbe dovuto stare più attento, dal momento che, sulla parete di una toilette in cui era entrato, un graffito rappresentava un uomo il cui pene veniva tranciato di netto da uno squalo. Un ardito accostamento fra il predatore dei mari e la donna castrante, certamente, ma vale pur sempre il consiglio che "uomo avvisato, mezzo salvato" con tutto ciò che ne consegue..

Un altro elemento è poi costituito dal ruolo fondamentale del denaro. Come si può giustificare un personaggio come il nostro eroe che si immerge nella vita notturna caotica del quartiere di Soho a New York city avendo in tasca solo una banconota da venti dollari? Proprio uno sventato dal momento che smarrisce fortuitamente la suddetta banconota e, disponendo di pochi altri spiccioli, non riesce neppure ad acquistare il biglietto del metrò per rientrare a casa. Peccato che intanto, per la strada, sia iniziata una pioggia insistente e, cammin facendo, Paul venga scambiato erroneamente per un ladro d'appartamenti e venga inseguito da una folla inferocita. Destino cinico e baro, certo, ma l'ennesima dimostrazione che la sfortuna si accanisce sui nullatenenti e New York non fa eccezione..

Un altro aspetto, infine, posto in risalto dal film di Scorsese (e pur sempre attuale) è il lato oscuro e pericoloso di una metropoli vasta e tentacolare come New York. Già reso noto, ovvio, da quanto rappresentato nell'opera di Andy Warhol e della sua Factory negli anni 60 (Velvet Underground in primis). Ma ribadire questi aspetti in un film uscito in quegli anni 80 intrisi di scintillante edonismo e rampantismo reaganiano è stato proprio meritorio. Alla fin fine il programmatore informatico Hackett è un ingenuo yuppie che si ritrova in una dimensione metropolitana a lui totalmente estranea, popolata da una fauna deviata e deviante, troppo pericolosa per le sue consuetudini rassicuranti.

E in fondo si assiste, nel corso del film, ad un'efficace riproposizione di un eterno tema valido da Omero in poi: il faticoso viaggio che ogni essere umano compie, ogni giorno e per tutta la vita, per raggiungere un sicuro rifugio ove considerarsi in salvo, dopo aver attraversato mari procellosi. Una tematica intramontabile.

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