Ho cominciato a documentarmi sulla figura di Aldo Togliatti per puro caso un pomeriggio in cui mi interessavo al disfacimento della ex Jugoslavia e a quella che era stata ed è la discendenza del Maresciallo Tito.
La connessione potrebbe apparire solo pretestuosa ma come si evince dalla lettura di questo libro invece non lo è affatto.
Aldo Togliatti, che tutti però chiamavano Aldino oppure Aldolino, era l'unico figlio di Palmiro Togliatti, 'il Migliore', e di Rita Montagnana.
La sua storia personale per lunghi tratti si intreccia con la 'Storia', quella con la esse maiuscola. Del resto il padre, Palmiro Togliatti, è una delle figure più importanti della storia del nostro paese e una delle personalità più importanti e leader della storia del comunismo mondiale. Il segretario del più grande partito comunista d'occidente. Prima di lui solo Stalin, Mao, Tito... Poi c'è Togliatti, che dal 1964, una settimana dopo la sua morte, è anche il nome di una città in Russia sul fiume Volga. Che si chiama semplicemente 'Togliatti anche se qui in Italia per qualche strano motivo continuiamo a chiamarla tutti 'Togliattigrad'.
Il 1964 come detto è anche l'anno della morte di Palmiro Togliatti.
Togliatti muore a Yalta in Russia il 21 agosto del 1964. Il 25 agosto a Roma presero parte al suo funerale un milione di persone. In seconda fila (in prima fila vi era la donna che dal 1948 era diventata la sua compagna, Nilde Iotti, e la sua figlia adottiva Marisa Malagoli Togliatti, negli anni divenuta poi, ironia della sorte, una importante personalità nel mondo della psichiatria) ci sono la moglie Rita Montagnana e Aldo.
Questa è e rimarrà l'ultima apparizione in pubblico di Aldo.
Dopo quel giorno Aldo sarà praticamente dimenticato fino all'inizio degli anni novanta quando l'interessamento di un cronista de 'La Gazzetta di Modena' lo 'scopre' - letteralmente - ricoverato in clinica a Villa Igea nel modenese e pubblica tutto sui giornali, suscitando per un breve periodo una certa attenzione morbosa nei suoi confronti.
Aldo Togliatti è ricoverato lì dal settembre del 1980 (nel frattempo nel 1979 è deceduta anche la madre, che era stata il suo punto di riferimento nel corso di tutti quegli anni).
Villa Igea è una clinica privata e un ospedale psichiatrico: Aldo vi rimarrà trentuno anni. Fino al giorno della sua morte nel 2011 a 86 anni. Conducendo un'esistenza solitaria e silenziosa. Lo chiameranno tutti per quei lunghi anni semplicemente, 'il signor Aldo'. Tutti sanno chi è, ma nessuno nominerà mai quel cognome, né tanto meno sarà Aldo a menzionare mai il nome del padre, che chiama affettuosamente 'il vegliardo', in quelle rare occasioni in cui scambia qualche parola con Onelio Pini, ex operaio metalmeccanico in pensione e militante PCI, cui il partito ha delegato, per così dire, il compito di 'vegliare' su Aldo, cui porta libri e giornali da leggere, la settimana enigmistica e le sigarette.
Ma chi era veramente Aldo Togliatti e come ci è finito in un ospedale psichiatrico?
Parliamo di una storia che è stata in qualche maniera volutamente dimenticata o che comunque sarebbe stata in ogni caso dimenticata perché questo è in qualche modo il triste destino delle persone che sono sole o che si sentono sole e Aldo Togliatti si sentiva profondamente solo.
A Villa Igea ci finisce alla 'fine' di una esistenza profondamente travagliata, nove anni prima della fine di quella Unione Sovietica in cui aveva vissuto tanti anni nel corso della gioventù e nel cui disfacimento, quando questo gli viene raccontato, non riesce a credere e da dove, una volta finita la guerra, non avrebbe forse mai voluto venire via.
Ci tornerà poi negli anni comunque, in Unione Sovietica o in ogni caso al di là della cortina, per sottoporsi a cure psichiatriche specializzate quando quella che veniva definita inizialmente come stranezza oppure semplice timidezza comincerà a essere considerata come qualche cosa di più: un vero e proprio disturbo mentale.
Chiaramente tutta questa vicenda negli anni sarà diversamente usata per attaccare 'il Migliore' anche sul piano personale (come se non bastasse la vicenda della scelta di andare a vivere con Nilde Iotti, questione che sarà chiaramente anche al centro di un importante e acceso dibattito interno al partito). Massimo Caprara, per vent'anni suo segretario personale, anche per questo lo definirà come 'il peggiore di tutti', ritenendo centrale la colpevolezza di Palmiro Togliatti nelle problematiche e difficili vicende esistenziali del figlio.
Qui, prima di continuare a parlare di Aldo, va fatta forse una brevissima parentesi (sicuramente insufficiente data la grandezza della figura) su Palmiro Togliatti. Il più grande leader della storia del partito comunista italiano e di riflesso il più grande leader del comunismo in occidente.
Palmiro Togliatti è stato l'unico leader probabilmente paragonabile per 'culto', anche proprio per quello che riguarda un certo aspetto iconografico, ai più grandi leader dei paesi comunisti o comunque di quelli sotto la diretta influenza dell'URSS. Cui egli fu del resto sempre profondamente legato e fedele. Così come fu sempre profondamente legato e fedele a Stalin. Tanto che il suo momento più difficile sul piano strettamente politico sarà probabilmente proprio quello della 'svolta' di Kruscev. Possiamo da questo punto di vista solo immaginare la sua grande difficoltà nel fronteggiare quel particolare momento storico e per quello che riguarda la sua stessa ideologia che la linea da dettare al partito e conseguentemente lodare le sue capacità politiche nella gestione e nella trasmissione del messaggio nell'indicare la 'nuova via' ai compagni italiani.
Ma anche per tutte queste ragioni Palmiro Togliatti è generalmente ricordato con meno 'affetto' di altre grandi figure del partito comunista italiano. I paragoni con Gramsci, l'altro gigante del partito comunista italiano e una grandissima figura intellettuale che è ancora oggi un punto di riferimento per molti, per i più stanno praticamente a zero; il ricordo di Berlinguer è molto più 'vivo' e non solo per una questione temporale ma probabilmente anche perché le due figure (va detto che Togliatti riteneva comunque Berlinguer il suo 'delfino') erano e sono percepite in maniera radicalmente differente. La figura di Palmiro Togliatti appare a tutti come troppo marcata. È una figura troppo grande e troppo pesante con cui misurarsi e del resto questa è oggi anche lontana nel tempo: Palmiro Togliatti appartiene alla storia, a un mondo che oggi non esiste più da oltre mezzo secolo e quella pagina della storia è come se tutti o molti, anche a sinistra, abbiano voluto cancellarla, forse afflitti da quelli che potrebbero essere dei sensi di colpa, forse perché effettivamente incapaci di inquadrare le cose nel loro contesto e storicizzarle, dare loro un valore per quello che sono state in quel momento. E allora immaginate, se per tutti è in qualche maniera difficile tracciare un giudizio su Togliatti, quanto questo potesse essere difficile per il figlio. Palmiro Togliatti era il più grande, 'il Migliore', ma lui? Chi era invece Aldo Togliatti?
Aldo cresce tra la Francia, Parigi, e la Russia a cavallo tra le due guerre mondiali con i genitori che a causa del fascismo sono stati costretti ad abbandonare l'Italia e impegnati sia a mantenere i legami politici con la madre patria e perché intanto è scoppiata la guerra civile in Spagna.
Dal 1934 Aldo vive in Russia stabilmente fino alla fine della guerra. Prima all'Hotel Lux con i genitori. Dal 1936-1937 è a Ivanovo, duecentonovanta chilometri a nord est di Mosca, alla 'Prima casa Internazionale d'infanzia Elena Stasova'.
Ivanovo è un collegio particolare: educa i figli dei rivoluzionari di tutto il mondo.
Ci sono Aldo Togliatti e Gino Longo (che diventerà segretario del PCI proprio dopo Togliatti). C'è Zarko, il figlio di Tito, che poi troverà la morte al fronte durante gli sviluppi della seconda guerra mondiale. Ci sono i figli di Mao: Mao Anying, il più serio, il più preparato, il più studioso e comunista di tutti; Mao Anqinq, che è tutto il contrario del fratello, gioca a scacchi per ore, va in giro con una balalaica a tracolla e fa yoga in giardino a testa in giù e con i piedi per aria.
Stando alle ricostruzioni dei fatti, Aldo durante quegli anni è un ragazzo come tutti gli altri. Magari è un po' più riservato ma non dà nessun segno o preoccupazione particolare.
I suoi problemi cominciano dopo il suo ritorno in Italia all'indomani della guerra.
Un ritorno che ad Aldo, che in fondo in Italia non ha mai vissuto, non andrà mai giù e che sarà qualche cosa di sofferto e che lo porterà a chiudersi in se stesso sempre di più.
Aldo rientra a Roma ma poi si trasferisce a Torino, dove vivono i Montagnana, la famiglia della madre. Si iscrive al politecnico ma presto decide (contro il volere del padre) di abbandonare gli studi e l'università e comincia a lavorare alla Sip (società idroelettrica piemontese) e ci resta per due anni. Dopodiché smette.
A questo punto entra in scena la psichiatria e la storia personale di Aldo ci appare sempre di più come quella di un ragazzo in qualche maniera schiacciato dalla grandezza della figura paterna (senza considerare lo zio Mario e la mamma che stanno comunque nella costituente, Nilde Iotti anche) e che non riesce a trovare un suo posto nel mondo.
Lo stesso Palmiro Togliatti ammetterà più volte in pubblico di non riuscire a capire quel figlio che è così intelligente ma allo stesso tempo così 'strano'.
La storia delle vicissitudini di Aldo è raccontata a pezzi, testimonianze dirette, trafiletti di giornale, racconti di uomini vicini a Togliatti come lo stesso Gino Longo oppure Luciano Barca, i Montagnana e le persone che hanno vissuto e lavorato a Villa Igea negli stessi anni in cui ci ha vissuto il 'Signor Aldo'.
Nel mezzo e fino al 1964 c'è la storia del PCI, la separazione dei genitori, l'attentato a Togliatti e l'Italia sull'orlo della guerra civile, Kruscev.
Secondo la ricostruzione di questo bel libro di Massimo Cirri e di cui ho provato a riassumere i contenuti, per quanto possibile perché l'autore va veramente a fondo nelle questioni e nel cercare di definire ogni situazione e protagonista delle vicende, non ci sono 'colpevoli' come avrebbe detto poi Massimo Caprara. Come potrebbero del resto. Perché.
Significativo che a scrivere non sia un biografo e neppure uno storico ma uno psicologo e giornalista e che come tale vuole 'capire' veramente Aldo e questo al di là di ogni aspetto ideologico.
E anche noi che leggiamo vogliamo capire e allo stesso tempo non possiamo fare altro che provare una forte empatia nei suoi confronti, una tenerezza profonda e un rispetto che in quanto tale ci impedisce anche solo di domandarci se egli fosse pazzo o se lo fosse diventato o se invece in fondo siamo tutti pazzi e come tali in qualche modo siamo tutti soli e a volte non riusciamo non solo a trovare gli altri con cui stare ma neppure noi stessi.
La grandezza della figura del padre, immaginiamo, sia stata un ulteriore motivo di sofferenza. Una specie di imbarazzo. 'L'ombra di mio padre due volte la mia,' scrive Francesco De Gregori in una sua famosissima canzone.
Da una parte l'amore, la stima sconfinata nei suoi confronti; dall'altra prima quella lunga sensazione di abbandono e poi quel profondo e ingiustificato senso di inadeguatezza. Che poi ci appare metaforicamente come il senso di inadeguatezza dell'uomo davanti alla grandezza e l'indefinitezza della storia.
Non sarebbe giusto dopo tutte queste righe parlare di me stesso, ma per ragioni diverse eppure così vicine e così lontane nel tempo e nello spazio, sento di avere molto in comune con l'uomo Aldo oppure chiamatelo pure (se vi pare) affettuosamente Aldino come facevano tutti quelli che gli volevano bene.
Del resto sono certo di non essere l'unico a sentire questa forte empatia tanto travolgente da sembrare e diventare allo stesso tempo quasi una forma di disagio.
E allora credo che la cosa più giusta sia chiudere questa pagina allo stesso modo in cui Massimo Cirri conclude il suo libro e non importa se la 'fine' è svelata, perché in fondo questa storia non ha un inizio e non ha una vera fine e nella ripetitività delle cose chissà che non possano essere poi argomentare anche questioni apparentemente più grandi e di natura ideologica.
Intanto c'è un biglietto. Lo trova un corrispondente di guerra sul fronte orientale. Un certo Vasilij Grossman. È la lettera di un giovane soldato morto: 'Mi manchi tanto. Ti prego. Vieni a farmi visita. Vorrei tanto vederti. Fosse pure solo per un'ora. Scrivo queste righe e intanto mi viene da piangere. Babbo, ti prego, vieni qui.'
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