Vodka da 8,90 euro, posacenere ripieni di sigarette, le giacche strette e i pantaloni larghi.
Sdraiati sul divano morti, dopo che i momenti unz-unz di quarta categoria uccisero le nostre deboli gambe, i nostri neuroni e le nostre orecchie abituate a ben altri ritmi. Piccoli momenti per radical-chic post-festini dove si rimorchia e si ama mettersi in mostra.
"Heligoland" ne sarebbe la colonna sonora perfetta.
Artefatto ed eterno, ricco di sensazionalismo e di ghirigori sonori, soffre di quella mancata spontaneità avant-garde che i Massive riuscivano a trasmettere sin dagli esordi, arrivando fino al pregevole "100th Window". "Heligoland" è un proverbiale canto del cigno del buon gusto, scoperchiato da ogni benchè logica, sopravvive grazie ai gusti trendy dei ritmi sbilenchi e dei motivi sensazionali.
Sono passati sette anni e quella disturbante nostalgia e bulimia di ascoltare una nuova perla discografica di uno dei gruppi più influenti della scena trip-hop, ma non solo, si trasforma in disagio. Non quel disagio che trasmetteva quel capolavoro di "Mezzanine", soffocato da quel senso di sporco elegante destinato a stuprare l'anima.
"Heligoland" soffre dentro, ma non rinuncia di tirarsela. Soft, cool, con qualche momento di luce, ma assolutamente privo di verve e noiosissimo. Come un discorso che non porta da nessuna parte e si conclude con un "che bel tempo oggi". Perfetto per un post-festino che si trasforma improvvisamente in una reunion di finti alternativi. E nell'attesa di un ritorno meno modaiolo e più cattivo, mi lascio massacrare dalla potenza sussurratrice di "Protection".
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