La haine: il film del rap europeo secondo gli occhi di uno che rapper non è.


Il cinema deve scendere sulla strada. Ci sono momenti, luoghi, personaggi, passioni e sentimenti che lì vanno colti e sulla pellicola devono essere impressi.

L'avevano insegnato gli italiani, nel dopoguerra. Era ora di dire basta col cinema dei telefoni bianchi. Poi, li avevano seguiti i francesi, dalla fine degli anni ‘50. Basta con l’esclusiva per teatri di posa, le riprese in studio, gli interni.

E altri come loro, nel secolo scorso, prima di Garrone e delle vele di Scampia. Tra questi, a Parigi, negli anni ‘90, c’è Mathieu Kassovitz, un francese d’Ungheria, che fa suo questo insegnamento e gira un film generazionale: La Haine, l’odio. In questo film, il suo sguardo osserva alcune vite stravolte dal clima di tensione tra la polizia e gli abitanti di un sobborgo parigino. In strada.

In strada, osserva azioni di guerriglia urbana, registra parole e suoni, riprende in bianco e nero scorci di paesaggi urbani, ma, soprattutto, coglie i volti e gli sguardi di chi osserva: tanti, tantissimi sono i primi piani dedicati agli ascoltatori, agli spettatori delle azioni. Infine, coglie gli occhi di Said che, sgomenti, guardano cadere l’ultima tessera di un domino che era stato avviato venti ore prima. Un’ora e mezza prima il film si era aperto sugli stessi occhi chiusi di Said.

Il domino. Oppure è la storia di un domino avviato, le cui tessera cadono una dopo l’altra. La prima tessera della nostra storia era caduta infatti durante una rivolta: qui, gli scontri tra la polizia e i rivoltosi, avevano causato un aumento del clima di tensione, il coma di uno dei rivoltosi, Abdel, e lo smarrimento di una pistola da parte di un poliziotto.

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale e indipendente dalla volontà degli autori, appare dopo i titoli di coda, tuttavia, questi sono fatti realmente accaduti: durante un fermo di polizia, il 6 aprile 1993, Makom M’Bowol, un ragazzo di 17 anni, muore nel XVIII arrondissement di Parigi all’interno di un commissariato di polizia a causa di un colpo di arma da fuoco partito dalla pistola dell’ispettore Pascal Compain. Ne seguiranno giorni di violenti scontri tra la polizia e persone manifestanti in seguito alla morte di Makomé.

La pistola del poliziotto è ora nelle mani di Vinz e Vinz con la pistola immagina di vendicare Abdel. Vinz è ebreo ed è il protagonista del racconto, con lui, Said, magrebino, e Hubert, nero. Il film li seguirà lungo le loro peregrinazioni parigine durante le quali i tre non vedranno le tessere del domino cadere una dopo l’altra, presi, come sono, da un turbinio di emozioni: sono giovani, volubili, vulcanici e arrabbiati; sono diretti, spontanei e soprattutto impulsivi.

  • Ei, Said e Hubert dove li hai lasciati? - Chiede un amico a Vinz.
  • Lascia perdere, che quei due stasera mi hanno proprio rotto il cazzo.
  • Ma è possibile che voi tre siete sempre incazzati? - Conclude il primo.

Impulsivi, incazzati e spaventati.

Consigliato: Per (quasi) tutti. i ventisette anni di età non si sentono per nulla.

Sconsigliato: Per quelli che si fermano al “viva lo stato di diritto e il pugno duro”. Per quelli che “il problema delle periferie”. Per quelli che “il rap è violento e maleducato”, ma non vogliono vedere la storia di integrazione che sta sull’altro lato della medaglia.

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