"Stai ingrassando e stai perdendo i capelli". Questo fu quello che Matt Goss, conclusa l'esperienza con i Bros in una Caporetto di quelle mai viste nello scenario pop internazionale, si sentì dire dall'allora nuovo manager Michael Lipman, scelto per il rilancio. Non esattamente un'iniezione di motivazione.
"Atterrai a Los Angeles il giorno dopo Natale del 1991. La casa discografica decise che l'unico modo per recuperare credibilità e dare inizio ad una carriera solista fosse lasciare l'Inghilterra" (Matt Goss).
Gli ultimi due anni per i Bros furono un incubo. Persero tutto: soldi, credibilità, fans, scena. Fu il gemello, Luke, a porre fine al progetto, completamente devastato dallo scenario contingente.
Goss iniziò a lavorare al nuovo album in un ambiente alieno. "Dovevo vendere un orologio al mese, orologi che avevo collezionato con il tempo e con un grande esborso, per tirare avanti. Avevo perso il lavoro quotidiano con i Bros, la partnership con mio fratello, ed ero lontano anni luce dalle persone amate. Poco dopo dovetti liquidare anche il mio assistente. Non accettava che in America non sapevano chi fossi, era diventato arrogante. Gli chiesi di tornare a Londra".
L'urgenza era quella di trasbordare in musica il tormento degli ultimi anni, la delusione, il senso di frustrazione, il senso di impotenza ed ingiustizia. Ci vollero tre anni. Tre anni di sangue e sudore.
"Una sera, a cena, il manager volle a tutti i costi farmi conoscere un guru locale, un produttore di quelli tosti. Questi partì con una filippica del tipo 'Ah! Vuoi fare musica ? Eh, amico, sai quand'è che sarai davvero qualcuno, quando sarai arrivato ? Quando inizieranno a chiamarti per suonare dal vivo! E' lì sul palco che fai esperienza, che cresci e maturi'. Ci fu imbarazzo, il mio manager arrossì. Io ne ebbi abbastanza, e mi alzai per andare al bagno. Quando tornai : 'Cazzo, amico, ma hai suonato la caspita di Wembley Arena ? Perché non me lo hai detto ?' 'Perché non me lo hai chiesto....'".
Episodi analoghi costellarono i tre anni difficili nei quali "The Key" (1995) prese forma. Ad oggi, che Matt Goss è in procinto di tornare una celebrità per l'imminente reunion con i Bros, resta il suo album più sofferto. Quindi, il migliore. Degno di nota. Il disco risulta ruvido, essenziale, suonato e programmato quasi per intero dall'artista (batteria a parte, laddove si alternano Abe Laboriel Junior e Senior, ndr) e, per un ragazzo di 25 anni che ne aveva già vissute e passate a sufficienza per arrivare a scrivere: "My body's young but my mind is old, my life is like a story that need to be told" ("The House Of Accused"), catturando l'essenza dell'intero album, non è poco. Già: perché il brano che apre il disco, "The Key", è un sospiro di ottimismo, un tentativo di trasmettere serenità che riesce solo in parte: "Don't try the patience of a patient man...". Non a caso quel che segue, "Peace Of Mind", è un grido di dolore ("I try to find my peace of mind, turning through the pages of time. People learn by what people do, but the lesson's harder when it's learned by you"), musicalmente ben strutturato, così come "Believe" che torna a sposare "The Key" nei contenuti, e quindi ? Quindi "Can't You Be Blind" ci riporta giù ("Can't you be blind for a minute ? So he can take the money that you hand him") e la gradevolissima e gentile "Winter Rose" suona ancora come le rondini in autunno. E si torna su : "I feel strong today...smooth like a feline....". Un ottovolante, insomma.
"Colour Blue" ("Have you ever created a place that feels safe to hide......When I'm sleeping, I get healing...") è un raffinato racconto della quiete che il sonno può regalare a chi ha una vita infarcita di tormenti, giusto in tempo per tornare a cacciare i demoni e subito rinascere in "Take The Demon" ("Groove on, extend your dreams, revenge is what Illness needs. Groove on, and feel the soul. Take your hate, revenge your fears and....let it go"). E l'amore ? Finalmente lo si inizia a trattare nella burrascosa "Hard Being Friends" ("It's hard being friends when the flame of love still burns..."). Già perchè, giusto per non farsi mancare niente, nel marasma la fidanzata l'aveva pure lasciato.
Infine, due cover a sostenere con grazia un progetto tormentato e fin troppo maturo sotto certi aspetti, la delicatissima "Heaven Is Ten Zillion Light Years Away" dell'idolo Steve Wonder e "If You Were Here Tonight" di Alexander O'neill che garantirà un nuovo ingresso nella top 20 britannica.
Ma non è tutto oro quel che luccica. I tormenti chiamano altri tormenti. Nel 1995 alla Polydor, la casa discografica di riferimento, avvenne un piccolo terremoto. E di Matt Goss, con tutto il rispetto, che ne facciamo ? "Tre anni di lavoro gettati via. L'album ebbe una release molto soft, poche copie, peraltro solo in America dove ero semi-sconosciuto. Avrei dato l'anima per far sapere al mondo quello che avevo dentro. Ma, purtroppo, alla stragrande maggioranza delle persone l'album non arrivò".
Peccato, perché il disco è bello. E' un pop piuttosto grossolano, ma di impatto. I testi sono pertinenti, testimoniano una sensibilità ed un'intelligenza non comune. A parziale risarcimento per il nostro, l'anno seguente il guru della musica dance italiana Joe T Vannelli remixò "The Key", il singolo, che arrivò al numero uno nelle classifiche danzerecce del bel paese. I due poi realizzeranno anche un album, "One", di cui, come si dice, magari un giorno tratteremo a parte (mi sembra di sentire i vostri mugugni) con lo pseudonimo Co*bra.
Negli ultimi anni Matt Goss palesa una tranquillità d'animo ed una riservatezza fuori dal comune. Una volta, su di un social, gli chiesi : "Matt, sono circondato da gente arrogante. A volte vorrei mandare tutto al diavolo. Che ci posso fare ?" Risposta : "Fratello, concentrati sui tuoi orizzonti. Non farti mettere in fila dalle persone arroganti, loro semplicemente credono; tu, invece, puoi arrivare ad avere il potere di comandarle".
Carico i commenti... con calma