Come già scrivevo per il precedente disco col passare del tempo Gazzè pare migliorare come un buon vino. Anche con Maximilian, ha alzato e brillantemente superato l'asticella della sua carrieta cantautorale, componendo quello che a parere di chi scrive è il suo album più riuscito. Fatto neanche tanto banale considerata la sua carriera ventennale.
Lo stesso artista ci ricorda che dopo gli ultimi anni di impegni spasmodici, fra dischi, tour solisti e in collaborazione con gli amici Fabi e Silvestri, aveva deciso di prendersi una pausa dal mainstream ritirandosi a scrivere musica alternativa ai suoi canoni tradizionali. Poi d'un tratto, forse impreviste, sono arrivate le canzoni pop e aggiungo io, con quella magia che solo il fervore dell'ispirazione può consentire. E ascoltando il disco, così ricco di idee melodiche, quasi ci si soprende di questa sua intatta capacità. Sono comunque rimasti dei lasciti dell'iniziale tentativo sperimentale, in particolare nell'ultima e cinematografica traccia Verso un altro immenso cielo, incentrata su un fraseggio di pianoforte e aperture orchestrali; ma anche nel piccolo gioiello In breve, un intreccio di chitarra barocca e chalumeau a incorniciare un mesto commento di un fatto di cronaca. Il resto è puro concentrato di Gazzé, con qualche brano più convenzionale come Sul fiume e Nulla, che paiono esercizi di stile su melodie già battute e gli ispiratissimi brani pop di cui sopra. Il primo singolo La vita com'è, noto già tutti, ricalca e migliora l'approccio da marcetta di Sotto casa, aggiungendo un sapore dolce amaro che gli deriva da un testo tutt'altro che leggero. E' evidente che l'attuale spirito di Gazzè, affiancato dal bravo fratello Francesco nei testi, è quello dell'uomo maturo che cerca di barcamenarsi in vicende familiari e sentimentali, talvolta molto complicate, risultando credibile e convincente.
La traccia d'apertura Mille volte ancora è un ulteriore sforzo di avvicinamento, almeno dal punto di vista stilistico, all'inarrivabile mito di Battisti/Panella, molto bella e riuscita, benchè il genio dell'autore di Poggio Bustone rimanga inavvicinabile ai comuni mortali. Un uomo diverso e Ti sembra normale timbrano il cartellino dell'assoluta orecchiabilità e si ergono a potenziali singoli di successo. Ma le vere chicche dell'album le scopriamo nella cupa Disordine d'aprile e nell'incalzante Teresa. La prima, scritta e cantata con l'artista emergente Tommaso Di Giulio, è una visione sghemba e metaforica di una storia d'amore dove l'uomo fa la parte della vittima. La seconda sembra farne il verso, ma a parti inverse: Teresa è una ex che aldilà della coda ironica costituita dalla canzone stessa, sembra aver lasciato ben poco di significativo al compagno. Due brani dove il lavoro certosino di osmosi fra testo e musica raggiunge vette ragguardevoli.
Pertanto ancora una volta mi ritrovo con convinzione ad applaudire Gazzè e a rafforzare la sua posizione di punta nella mia personale idea dello scenario musicale italiano, dove risulta ancora uno degli autori più intelligenti e ispirati. Non ci resta quindi che aspettare il prossimo disco, con la certezza che sarà ancora una volta un piacere ascoltarlo.

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