“Le parole sono importanti”

La scelta dei nomi pure, verrebbe da aggiungere, soprattutto nel ristretto ambito musicale.

I Menomena non sono i primi, né saranno gli ultimi, a scegliersi nomi che, per strani casi fonetici, nella nostra lingua provocano reazioni discordanti. Il primo esempio che mi sovviene è l'ormai mitico “Cago” di tali Dead Man Ray (vi giuro esiste!) Ma siccome il mercato italico non penso abbia rappresentato o rappresenterà mai l'Eldorado per band anglofile per nulla mainstream, non si può fargliene una ragione.

Comunque tali scelte possono in qualche caso risultare vincenti: magari, tra una porno ricerca e l'altra in rete, qualche dislessico panzone in canotta sbaglia a digitare “Menamelo” et voilà, si ritrova nel magico e sghembo mondo dei Menomena!

Il terzo disco dei nostri porta avanti, affinando e raffinando, il discorso rimasto aperto col precedente e già buono “Friend And Foe”, spaziando con sicumera in un vasto e colorato spettro cromatico tra pop sbilenco, ma decisamente personale, e indie rock sincopato.

Anzi per più di metà disco, i brani oltre che scivolare via ammalianti e inquietanti (emblematica in tal senso l'iniziale “Queen Black Acid”) hanno l'innata capacità di scolpirsi a fuoco sulla corteccia cerebrale, grazie a hooks mai scontati ma innatamente “pop” nell'accezione migliore del termine. Qui c'è pane un po' per tutti i denti: “Taos” piacerà tanto ai nostalgici di David Byrne e soci, quanto agli amanti dell'indie-rock metà 90, fino a chi si fa di sax alla Stax; “Killemall” oltre che ai fan di Cliff Burton & co., piacerà a quelli per cui DJ Shadow nei 90 non campionava ma suonava tutto lui; “Tithe” infine emozionerà gli amanti della classica per l'intro di xilofono, e quelli per cui gli ultimi Fugazi erano meglio dei primi.

I rimandi e le suggestioni sono veramente tante, non sto qui ad elencarle tutte. Se una critica si può portare al disco, è che la sua forza è nel contempo la sua debolezza maggiore: una poliedricità talmente spinta che rischia di soffocare uno stile personale. Che, sia chiaro, i Menomena hanno, ma che dovrebbero semplicemente comprimere in canzoni mediamente più brevi e quindi in un minutaggio totale inferiore (difficile fare un disco “pop” che regge 55 minuti di questi anni).

Per chi scrive, piccolo disco rivelazione dello scorso anno.

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