Anno domini 2015.

Aaron Weiss, classe '79, paroliere irruento ed esuberante, è sull'orlo di una crisi esistenziale.

Mentre immagini di guerre nucleari e presagi del giorno del giudizio infestano i suoi sogni, la band si riunisce per dare alla luce il loro sesto lavoro.

I mewithoutYou sono invecchiati dai tempi del loro esordio convulso e sbraitato: sulla soglia dei quarant'anni cominciano a sentire il peso delle chitarre, mentre la violenta carica post-hardcore dei primi lavori si è ormai dissipata, lasciando il posto alle influenze folk degli ultimi album (vedere “It's All Crazy, It's All False, It's All A Dream, It's Alright” e “Ten Stories”)

Ora è tempo di tornare a contare in primis sulle chitarre, ma con una maggior maturità e pacatezza che in passato; le chitarre in questo disco sono meno distorte, più calibrate e vengono ad intrecciarsi perfettamente sotto la voce da profeta di Weiss, creando diversi momenti veramente suggestivi.

Totalmente eliminata ogni altra instrumentazione (arpe, fiati e fisarmoniche dei vecchi tempi) le undici tracce sono pronte: mancano solo i testi.

Per la prima volta, infatti, Aaron decide di non interferire nel processo di registrazione e di scrivere i testi a parte, come se fossero spunti, poesie, annotazioni personali. Il risultato è un flusso di coscienza a tratti evocativo, a tratti delirante, grazie al quale le più profonde paure e delusioni di Weiss vengono riversate sulle tracce composte dai colleghi, in tono a tratti sommesso ed apatico, a tratti conservante l'antica rabbia.

Per l'appunto: i testi. Una volta accettata la profonda religiosità del cantante (occhio che non si tratta di fanatismo, ma di una profonda spiritualità che abbraccia Ebraismo, Cristianesimo ed Islam) risultano decisamente godibili, brillanti, colmi di metafore e citazioni letterarie.

Mi scuso se questa recensione risulta fuori fuoco ed approssimativa, ma si tratta della prima che provo a scrivere. Ho scelto l'ultimo lavoro della mia band preferita, un album che in sintesi trovo estremamente piacevole, scorrevole, coeso (alcuni potrebbero dire piatto e monotono, e forse avrebbero ragione) e con buoni momenti salienti. Cito ad esempio la risoluzione finale di “Mexican War Streets”, il singolo “Red Cow”, la ballata atomica “Magic Lantern Days” e l'intero pezzo “Rainbow Signs”, capolavoro del disco dipartito tra una metà sconsolata e malinconica ed una dura e pestata.

Voto per niente oggettivo, abbiate pazienza. Disco Consigliato.

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