M.I.A. – Aim (Deluxe Edition). Interscope/Universal. 2016.

Alternative Rap, Alternative Dance, Electronic Pop/Rock, con enfasi decisamente sul versante della Pop Music. Già, il quinto lavoro di Maya Arulpragasm, britannica di origini Tamil, classe 1977, pone l’accento sulla fruibilità Pop, spiazzando, o deludendo, chi l’aveva apprezzata agli esordi, più che nel recente passato.

Arular, del 2005, offriva un linguaggio sperimentale ed autoctono, tra Grime (Garage Rap) ed Electroclash, un sound minimale, con loops martellanti.

Kala, del 2007, molto più eclettico, apriva agli elementi etnici più disparati ed esotici, incorporando sample accattivanti, dai Clash (“Stright to Hell” in “Paper Planes”) ai New Order (“Blue Monday” in “10 Dollars”).

Erano stati i due capolavori della zona più grigia, fuligginosa e sporca dell’Hip Hop anglofono, sotto l’egida del produttore Switch.

Poi, arrivarono Maya, del 2010, più spinto verso la contaminazione con la Techno, l’Electro-Industrial, il Dubstep e la Trance, e Matangi, del 2013, una sorta di messale indù sempre più compromesso col Pop.

Annunciata, allora, nel remoto 2005, come “The Next Big Thing”, oggi che vorrebbe con “Aim”, ripercorrere i vertici di quel lussureggiante passato, M.I A, in realtà, ha poco da spartire con quei beats torridi e duri che sapeva procrastinare.

Il suo meticciato Electro Hip Hop, si fa pericolosamente vicino a Rihanna; in una parabola che sembra inesorabilmente rivolta verso il basso. Per creatività ed estro, almeno. Di per sé, non c’è un male intrinseco nel proporre melodie più orecchiabili o groove meno tortuosi, tuonanti e minacciosi.

Le collaborazioni con Madonna e Timbaland, non devono aver avuto effetti collaterali eccessivi, né scalfito più di tanto il suo modo di proporsi, come star terzomondista, come freak, come cantante alternativa, anticonformista e scontrosa. Certo, se musicalmente si ammorbidisce (un po’ la maternità, un po’ la residenza losangelina), non retrocede di molto rispetto ai suoi usuali motivi politici (fermo restando la presa di distanza, non del tutto convincente, dall’organizzazione separatista -e “terrorista”- delle Tigri Tamil o LTTE, controparte nella Guerra Civile dello Sri-Lanka, 1983-2009, con 100.000 morti). I temi che l’ Arulpragasm predilige affrontare sono proprio la guerra, le migrazioni, il razzismo. Anche alle immagini assegna un ruolo (il videoclip di “Born Free”, veramente violento, fu censurato e bandito dalle TV, mentre nel recente “Borders”, ispirato ai profughi siriani, si presenta con la maglietta del Paris Saint Germain, ma al posto di “Fly Emirates”, in bella vista, campeggia la scritta “Fly Pirates”, con subitaneamente annessi gli strascichi legali intrapresi dalla compagnia). Comunque sia, è sempre nella musica che la nostra si esprime al meglio.

Detto di una produzione più lineare e meno articolata, affidata al duo Skrillex e Diplo, di questo CD entrano a far parte anche brani soltanto abbozzati o di modesto risalto. Qualcuno ha ipotizzato l’esigenza di assolvere ai doveri contrattuali, anche alla luce dell’annunciato ritiro dalle scene, o, se non altro, dai canali più conformi della distribuzione. Mi pare strano, potendo incidere musica a proprio nome, che l’interessata non abbia comunque cercato di offrire il meglio al proprio pubblico. Spiegazione più plausibile è allora che il meglio di sé quest’artista l’avesse già elargito. Questa “musicista” Rap, amante ed epigono dei Public Enemy, e, verosimilmente, appassionata e prosecutrice, per attitudine, dei Public Image Ltd., sta attraversando una fase di scarsa ispirazione, contestualmente alla ricerca di allargare il proprio bacino d’utenza. Così il disco in oggetto, che complessivamente rasenta comunque la sufficienza (6,5/7), offre anche spunti di riguardo, degni di entrare in un potenziale “Greatest Hits”, accanto ai vari “Paper Planes”, “Bamboo Banga”, “Pull Up The People”, “Born Free”, “Bucky Done Gun”, etc., nei quali, però, l’ingrediente fondamentale era la sperimentazione; l’esercizio di un’elettronica nodosa ed abrasiva, di beats sincopati, disgiunti ed indigesti, di campionamenti etnici ed industriali, in un gioco suggestivo di equilibri precari. Una sperimentazione audace, oggi assente.

Quali allora gli episodi da salvare di “AIM”? La già citata “Borders”, dalla melodia carezzevole e dal ritmo ondeggiante, adatto al ballo Twerk (quello delle spinte di anca in posizione accovacciata). Il canto è meno balbettante del solito; la Arulpragasm ha una voce non particolarmente dotata, ma graffiante ed incisiva. E qui prova di essere altresì ammiccante.

C’è, quindi, “Freedun”, molto piacevole invero, un più che onesto Hip Hop vagamente arabeggiante. Il ritornello ospita Zayn Malik, degli One Direction (e qui andrebbe interpellato il bravissimo recensore Abraham); Zayn canta “All The Stars Are Shining Bright, But You’re The Only One I See”. La sua voce è sufficientemente filtrata, da render la sua comparsa più comica che grottesca. Poi ci sono le due eccentriche versioni di “Bird Song” e tre autocitazioni, autoindulgenti: “Bamboo Banga” in “Visa”, “Bad Girl” in “Foreign Friends” e “Paper Planes” in “Finally”. Quest’ultima potrebbe tranquillamente rientrare nel repertorio attuale di Rihanna.

L’affinità col Pop e la Dance comunque non rende poi M.I.A. così commerciabile. Meglio i voli pindarici, distorti del passato, ok. Ma non si è svenduta al mainstream, o, forse, non ci è riuscita. Meno capace di accogliere nel suo sound & loops (non sound & vision) cose che stiano tra loro agli antipodi, (vedi la dicotomia natura/artificio, quella tra oriente-occidente, l’opposizione tra nord e sud del mondo, o tra cingalesi e tamil, o tra buddhisti e indù), ha, tuttavia, così dichiara lei, ancora la voglia e l’impeto di abbattere le distanze tra le culture e gli steccati tra i generi musicali. La sua “arte” vuole essere questo. “Non il prodotto della cultura dei neri, non il prodotto della cultura dei bianchi“. Ci riuscirà ancora?

Forse no. Non ci si può immergere due volte nello stesso fiume. Forse sì. Perché si può ascendere anche in virtù di una forza che è discendente.

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