Disse di lui il nostro grande sassofonista Maurizio Giammarco: "Tecnicamente, mi sembra il più preparato di tutti. In più, ha la qualità dei grandi sassofonisti del passato: dopo due note lo riconosci. Ha però un modo di suonare estremamente lineare, che poco concede all'avventura mentale." Una disamina molto azzeccata. A questo aggiungiamo la sua presenza come sessionman in decine di dischi, di modo che il suo torrenziale e levigato eloquio sassofonistico, arcinoto ai più, sia anche venuto un pò a noia - della serie: "Oddio, un altro assolo di Michael Brecker..."

La critica più blasonata non è mai stata tenera con questo musicista, forse in virtù della insita commercialità di molti progetti portati avanti dal nostro (Steps Ahed in primis). Eppure, è stato proprio il suond cangiante degli Steps Ahed ad avvicinare molti ascoltatori al jazz. E sono state proprio le vendite dei dischi degli Steps Ahed a trasformare uno spiantato jazzista in un signore benestante...

Nel bel mezzo di questo scontro di opposte fazioni, è arrivata la morte prematura di Brecker, che ha messo tutti (ipocritamente) d'accordo. E allora giù con i "coccodrilli": musicista a tutto tondo, grande continuatore della lezione di Coltrane, solista da studiare per la padronanza ineccepibile dello strumento, e chi più ne ha più ne metta.

Proviamo a dare un piccolo contributo alla sua memoria recensendo il suo primo disco solista del 1987, uno di quelli che considero tra i suoi più riusciti. Un successo dovuto in buona parte alla scelta dei comprimari, musicisti a lui particolarmente congeniali con i quali aveva intensamente lavorato in precedenza: la monumentale sezione ritmica formata da Charlie Haden, squisito contrabbassista, e dal fantasioso drummer Jack Dejohnette. Un grande, grandissimo pianista che (ahimè) ci ha lasciato anche lui troppo presto: Kenny Kirkland. Come alter ego solistico, il pluriosannato chitarrista Pat Metheny, che come Brecker ha vissuto e vive l'amletico dilemma di stare con un piede nel jazz e l'altro nella musica commerciale di qualità: ricco e famoso, e per questo bistrattato dalla critica più intransigente.

Pochi brani, lunghi e ben studiati, nei quali il quintetto sguazza come un pesce nell'acqua. Si parte con un valzer, "Sea Glass", con un rilassato solo di sax su sottofondo di tastiere, niente di che, ma i nostri si stanno solo scaldando in attesa del successivo "Sygyzy", brano di grande presa, che inizia con un serratissimo dialogo sax/batteria, ad introdurre un tema futuristico ed euforizzante, nel quale Brecker affianca al suo tenore l'EVI, una sorta di sassofono-sintetizzatore. Calibratissimo l'assolo di Kirkland, poi si riparte fino al climax, finchè il ritmo si interrompe magicamente a lasciare spazio all'estatico assolo di Metheny.

"Choices" è un brano obliquo e sincopato, affidato al martellante accompagnamento di Kirkland, con un bell'assolo del leader. Si prosegue con un cavallo di battaglia di Brecker, "Nothing Personal", nel quale Metheny ci ricorda che, oltre ad essere un allegro ragazzone pieno di voglia di vivere, è anche capace di tirare fuori un assolo dalle tinte scure e pensose. "The Cost Of Living" è il pezzo più triste ed introverso dell'album, ottimo mood per un assolo di Haden.

Ed infine, come la ciliegina sulla torta, "Original Rays", il brano che farà la felicità di tutti i fans di Metheny e degli Steps Ahed messi insieme. Mentre in "Sygyzy" l'EVI veniva usato solo come rinforzo al sax, qui fa la parte del mattatore, trasformandosi in una tavolozza timbrica pressochè illimitata, usata con gusto e notevole fantasia. Per il resto tutto come da copione, assolo di Metheny nello "stile Metheny", assolo di Brecker nello stile "Steps Ahed", sensazione di "happy end" e la pace che scende nel cuore. Cosa desiderare di più?

Un grande, onesto artigiano del jazz e della musica tout court. Non un genio imprescindibile, ma un artista senza il quale la musica dei suoi anni sarebbe stata meno intrigante e coinvolgente. E scusate se è poco...

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