Il testamento.

Mentre registrava "Pilgrimage",  Michael Brecker sapeva che la sua leucemia era già in uno stato gravemente avanzato. Quando l'album fu pubblicato era già morto. Ben sapendo che con tutta probabilità sarebbe stato il suo ultimo album, Michael, uomo tranquillo ma di intenzioni ferree, non avrà avuto in mente che una cosa: andarsene con stile, ora più che mai (per non dire ora o mai più). Di stile, qui, ce n'è (perdonate l'espressione popolaresca) un barile (non solo metaforicamente: sono 80, corposissimi minuti): si può vivere con stile e morire con stile, e di questo dittico "Pilgrimage" rappresenta forse più che altro il passaggio, l'anello di congiunzione: l'ultima appassionata, romantica, disperata, dichiarazione di amore alla vita, a quella cosa detta musica che in tanti bravi musicisti come Michael, con la vita va in fondo a coincidere: l'ultimo atto di attaccamento a tutto ciò che si è amato. Disperato forse, ma più stiloso che mai.

"Pilgrimage", infatti, non parla di morte. Sì, okay, magari c'è una rancorosa dedica al "tempo avaro" (in "The Mean Time", capolavoro di vortici e saliscendi melodici e sincopi stordenti) una romantica e disperata "When Can I Kiss You Again?"; c'è anche la commovente ballatona strappalacrime, che chiude l'album e si chiama come l'album, e che, se proprio vogliamo, possiamo connettere all'idea della morte. Ma, insomma a cosa sto a riferirmi? Ai titoli dei brani? Ho parlato di dediche, ma le dediche sono qualcosa che ha a che fare con le parole, metodo di comunicazione umano poco adeguato, poco chiaro, obsoleto rispetto alla musica: qui non ci sono parole (se escludiamo le urla indianeggianti in sottofondo a "Tumbleweed") : c'è solo lei, lei che parla di sé stessa e quindi di vita, sempre e comunque. Che ne parli con stile e classe, con fantasia, dicendo cose sempre nuove, è poi fuori discussione: guardate chi ha suonato qui dentro (Metheny, Hancock, DeJohnette, Patitucci) è l'idea che salta subito in testa è quella di una festa per le nostre orecchie, ma è anche una festa in onore di Michael, e a quella ho l'impressione di partecipare anch'io.

Bando dunque, al pensare all'altro mondo mentre si ascolta questo disco: il testamento vuol dire morte, ma il testamento lascia un'eredità. Vita.

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