Dorian Gray, innamoratosi del proprio ritratto e preoccupato dal fatto che il suo viso debba invecchiare, desidera intensamente che esso rimanga identico a quello che ha visto impresso sulla tela.A soddisfare questo desiderio, in qualche modo, avviene che il quadro invecchia e si logora per la dissolutezza e spregevolezza dei gesti di Dorian, mentre lui compie ogni sorta di scostumatezza e depravazione senza che il suo viso ne venga scalfito.

Allo stesso modo, i personaggi principali di "Arrivederci amore, ciao" sono autentiche carogne, veri traditori, grandi pezzi di merda, che migliorano la propria reputazione sociale, mentre si inabissano in un mare di nefandezze.

E' un film sull'apparenza, un buon film.

La vita del protagonista di questa storia, un rivoluzionario e terrorista di sinistra che si chiama Giorgio Pellegrini, cambia la notte di un attentato, quando mentre cerca disperatamente di salvare un metronotte dall’esplosione che non lo aveva per bersaglio, ne rimane prima ferito anche lui, poi, di conseguenza, arrestato e condannato all’ergastolo.

In questo evento si perde la sua anima. Rifugiatosi tra i rivoluzionari dell’America Centrale, uccide a sangue freddo il proprio migliore amico per poter ottenere la possibilità di tornare in Europa e ottenere la riabilitazione in Italia.

A questo, dopo aver minacciato un vecchio compagno latitante a Parigi, ottiene un avvocato e un agnello sacrificale che si accollasse il proprio reato, così da poter affrontare un processo che lo liberasse dalla condanna all’ergastolo.

Qui viene convocato dal capo della DIGOS, il tenente Anedda (interpretato da un buon Michele Placido che, però, qua e là dimentica la cadenza sarda del personaggio), che è in possesso di prove inconfutabili della sua colpevolezza e lo costringe a diventare un suo uomo, offrendogli in cambio il suo silenzio.

Per prima cosa gli chiede i nomi di tutti i rivoluzionari armati. Pellegrini li fa.

Ottenuta la libertà, in breve tempo ottiene il posto di galoppino in un grandissimo strip club di un vecchio compagno di cella, l’ammanigliatissimo Vesuviano. Qui inizia a fare la cresta a tutte le ragazze, ma soprattutto ricatta un cliente insolvente e la moglie Flora, una bella Isabella Ferrari, che diventa una schiava sessuale di cui innamorarsi.

Eppure, a scherzare col fuoco ci si brucia e una notizia, come una freccia dall’arco scocca, corre veloce di bocca in bocca: il Vesuviano, venuto a conoscenza del tradimento, gli spezza un braccio. Subito dopo, estinto il debito, Flora esce dalla sua vita. La fortuna sembra avere voltato le spalle al nostro.

Ma chi non muore si rialza.

Giorgio vende il Vesuviano ad Anedda che, avuta la soffiata, organizza una retata per catturarlo durante una scambio di droga. Vengono colti due piccioni con una fava: il commissario ottiene un riconoscimento come difensore della legalità, mentre Giorgio ruba la valigetta coi soldi della compravendita.

Non basta. Serve un altro colpo, molto più grosso, in combutta col tenente per liberare Giorgio dalla spada di Damocle che pende sulla sua testa.

Fatto questo, il nostro può cambiare città e aprire un ristorante di gran classe. Qui per raggiungere l’agognata riabilitazione serve ogni sera giudici e politici capaci di aiutarlo e conosce una ragazza, di buona famiglia, timorata di Dio, con cui costruire una famiglia e diventare un cittadino perfettamente integrato.

Tuttavia, prima di diventare un cittadino onesto e vivere felice e contento, Giorgio deve risolvere un altro problema. Il passato non sepolto si fa vivo nuovamente: il tenente Anedda gli fa visita nella nuova città, bisognoso di un altro “favore”...

In questo film non ci sono personaggi multisfaccettati. Giovanni, Anedda e il vesuviano sono dei veri cattivi, egoisti, quasi sempre senza scrupoli, perché ogni tipo di scrupolo viene pagato caro. Le loro vittime non hanno virtù particolari, ma soccombono solo perché hanno qualche regola morale e nell’universo rappresentato il potere appartiene a chi è senza scrupoli. E chi ha il potere non ha mai remore ad esercitarlo. Però il doppio è dappertutto. C’è nel carattere dei personaggi che indossano maschere sempre più rispettabili mentre macchiano la loro coscienza di peccati sempre più efferati; c’è in Pellegrini che acquisisce man mano i tratti del tenente Anedda; ci sono Flora e Roberta, le due donne del protagonista.
Il ritmo narrativo è incalzante, per circa novanta minuti di pellicola, senza pause descrittive. Sono le musiche oltre alle immagini a tratteggiare un’epoca. Insomma, qui Soavi si dimostra un regista di mestiere che, con in mano un buon soggetto, sa girare un film ottimo che merita un recupero.

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