Difficilmente, ascoltando una grande canzone, mi riesce d'immaginarla in una versione differente, in mano ad un altro artista, ed addirittura migliorata. Ma c'è chi è riuscito a 'far proprio' un componimento altrui, sebbene già inciso e già "perfetto così com'era", vuoi per le capacità interpretative vuoi per una questione d'immagine, di spessore e perché no?, di fama dell'interprete. Per esempio, così fu - a mio parere - per "Like A Rolling Stone", un brano fino ad allora perfetto tra le mani e tra le sgraziate corde vocali del suo geniale autore, arrivato con quasi quarant'anni di distanza agli 'inevitabili destinatari', che riuscirono (e come non potevano?) ad appropriarsene come nulla fosse. Così ancora, sempre per parlare di Rolling Stones, quando, recentemente, nel suo discutibile album di covers, Patti Smith strappò a Jagger e brigata la celeberrima ed ultracoverizzata "Gimme Shelter", rendendola "più fedele all'originale dell'originale stessa", più vera ed autentica dell'autentica, e migliore.

I Rolling Stones e Patti Smith, dicevamo... Cosa sarebbe successo se "My Dark Side", brano del poco conosciuto e celebrato Mike Scott datato 1997 e presente in questo disco, fosse finito tra i solchi dei loro lavori? Tutti a celebrare i "persempre giovani"! Tutti che diventiamo Mollica al tg1 per lanciare al cielo i nostri 'osanna!', tutti a sgozzare agnelli in onore della sacerdotessa del rock!

Ci sono artisti che si ostinano a fare poco successo a loro firma e mettendoci la loro faccia, mentre, se scrivessero canzoni per gli altri, acquisirebbero fior di diritti d'autore e di quattrini. Mike Scott è uno di costoro, così "scellerato" dal punto di vista affaristico da aver abbandonato, negli anni '90, persino il suo trademark Waterboys per provare la carriera a suo nome. Dico "a suo nome" e non dico "solista", perché Mike solista lo è sempre stato. I Waterboys, infatti, mai furono una vera band al 100% ed il processo compositivo fu sempre ed intieramente nelle sue mani. Un marchio: ecco cosa furono i Waterboys. E disfarsi di un marchio, magari un po' appannato ma pur sempre celebre, per firmarsi a suo nome - tra l'altro di Mike Scott nel mondo credo ce ne sono su per giù settecentomila, tra cui un rappresentante di birra che gira di continuo i pubs del Regno Unito -, è una mossa tatticamente suicida.

Fatto sta che quest'uomo bisognoso della massima autenticità, nel 1997, dà vita al secondo lavoro a suo nome. Questa volta, sebbene l'attitudine casalinga ed il piacere della produzione leggera leggera siano rimasti, non si tratta più di un album tutto folk, preghiere, chitarra e voce, bensì un album tradizionale, nello stile dei primi dischi ascrivibili al suo "marchio di fabbrica".

Oltre alla sucitata "My Dark Side", spicca la bellezza acqua e sapone di "Love Anyway", un altro capolavoro, una dichiarazione d'amor panico tra infiniti arpeggi della sua chitarra e limpide note d'archi. Un brit-pop con l'enfasi del folk rock americano, su cui è sempre divertente squarciarsi la gola. Britannico ed americano, Mike, che fu anche irlandese, "alla bisogna"... Il brano sembra infinito, e forse sarebbe bello se lo fosse veramente. C'è spazio anche per altri generi, come ad esempio la tiepida ballata folk, lenta e lieve in stile Bob Seger per "Open"; più "personale" quella di "Personal", gioiellino. La finale "Everlasting Arms" riprende le tematiche e le tensioni spirituali dell'album porecedente, con una preghiera tutta chitarra voce e buona speranza. E c'è anche un pizzico di California, nelle rive del fiordo Moray, in Scozia, residenza di Scott dopo un lungo peregrinare: lo dimostra "Sunrising", tra chitarrine che suonano fra i giochi di luce.

Il pop-blues, arma che Mike sfoderò principalmente nel celebre "A Pagan Place" del 1984, riaffiora nell'iniziale "Questions", rhythm and (pop-)blues ancora in stile Rolling Stones con tanto di fiati come da tradizione, ed in "Rare, Precious And Gone", pop-blues di chitarra liquida e piano elettrico-Waterboys. Su questo strumento e sul suo continuo saltellare si basano le strofe, mentre per il ritornello Mike è radiofriendly come in poche altre occasioni. Sembra davvero, in questi brani, d'esser tornati ad "A Pagan Place", ed in particolare ad "All The Things She Gave Me"... In verità Mike non ha mai cambiato gusti, negli anni: ha semplicemente scelto, periodo folk irlandese a parte, se alleggerire o appesantire il sound, se aggiungere o sottrarre strumenti, se attaccare o staccare la spina delle chitarre elettriche...

E quest'ultime sono accese e poderose in "Dark Man Of My Dreams", uno dei brani più violenti della sua carriera, che stavolta riecheggia il primo disco dei Waterboys. Tredicimila chitarroni su di una batteria (il tutto sottoprodotto come per il resto del disco) ed un finale convulso. E c'è ancora un altro brano, a travolgere le orecchie: "Strawberry Man" nasce folk irlandese elettrificato; ne viene fuori un rock irresistibile, quando Mike urla "stop the world!". Ma le metamorfosi non sono finite: lo special è da marcetta british strafatta di anabolizzanti, e dà lì prende piede il brit pop forte come lui non lo ha suonato mai nessuno fino ad ora, neppure Mr. Weller.

Non è un capolavoro, "Still Burning"; i pezzi sui quali mi sono dilungato sono quelli che meritano l'acquisto dell'album, così come meriterebbero una grande star (od una sacerdotessa) che li prendesse e li rivalutasse, mentre i restanti sono puliti, buoni, ma non accendono la fiamma per cui Mike is "Still Burning". Resta ancora una volta la certezza che Scott è un uomo capace, che sa fare ottima musica, che è un grande autore, la cui vena ispirativa, sebbene il tempo passi per tutti quanti, sia in grado di rialimentarsi, come un incendio quando il vento è bollente.

Non è finito, Mike Scott, musicista e compositore nonché omonimo di quel rappresentante di birra incontrato anni orsono in un capriccioso e fanatico viaggio tra le zone più sfigate della terra d'Albione, uno di quei viaggi che mi indussero a smettere di rivolgermi, allora adolescente, all'Inghilterra come ad una Terra Santa del forever giovane. Non è finito, nel 1997, il musicista e compositore Mike Scott (degli altri 699.999 non saprei), anzi è sempre capace come prima, sempre infiammato, i giganti sulla cui spalla egli si è sempre trovato (notate alcune allusioni?) sono solidi come non mai, ma egli è cresciuto così tanto e così bene da poterne rimpinguare la produzione, con le sue canzoni. In mano ad un altro, in mano a chi so io, molti dei suoi brani sarebbero rimasti immortali. Ma pazienza, a lui poco importa. Certo, nemmeno è giusto passino così inosservati (esattamente come le mie recensioni su di lui, d'altronde)! Ed allora, come qualcosa di naturale, verrà la riconciliazione con la sua creatura, con i Waterboys, qualche annetto dopo, e con un vero capolavoro. Come sovente, e come ai vecchi tempi.

Mike Scott, una fiamma che brucia... E che brucia ancor meglio quando è sott'acqua.

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