Era una delle uscite più attese dell'anno, almeno per me si intende, quella del gruppo svedese, che quest'anno ha dato stampe il nuovo "Machine 15" seguito dell'ottimo "Kingwood".

Le attese erano tante per vedere se i Millencolin avrebbero continuato sulla strada battuta dal predecessore o concessosi nuove incursioni o sonorità. Ebbene il cambiamento è avvenuto e pure in maniera abbastanza netta col recente disco. Il regista che sta dietro a questa svolta (tra poco andremo nel dettaglio) è sicuramente il produttore che hanno scelto, quel Lou Giordano che aveva lavorato con loro anche ai tempi di "Home From Home" e che ha collaborato pure con i vari Taking Back Sunday e Plain With T'S tra gli altri.

Prima di andare ad immergerci nell'oceano musicale bisogna dire, (e chi segue il gruppo dagli albori può confermare), che i ragazzi di Orebro difficilmente tendono a ripetersi e creare due album uguali o simili di fila. Non a caso un loro pregio a differenza di molte altre band, che tendono a ripetersi all'infinito è quella di saper cambiare, svoltare e evolversi durante la loro carriera iniziata nei primi anni '90.

Personalmente ero curioso di cosa sarebbero riusciti a tirare fuori stavolta, visto che le hanno sperimentate tutte dallo skapunk degli esordi all'hardcore potente e melodico ("Life On A Plate" e "For Monkeys"), fino a sonorità rock e di punk più melodico più recenti ("Home From Home" e "Pennybridge Pioneers"). La risposta è chiara fin da subito: dimenticarsi e togliersi dall'orecchio le sonorità punk rock e hc di "Kingwood" per attraccare in lidi prettamente pop-punk e venature più rock. Ed e proprio l'opener nonché title-track "Machine 15" a chiarirci subito le coordinate dell'album: pop-punk di quello orecchiabile (anche un po' troppo) e ritmato. Stessi canoni riscontrabili nel singolo di lancio "Detox" che non è ne carne ne pesce, ovvero piacerà a probabili nuovi fan, mentre lascerà indifferenti la fan-base.

Giudizio personale da uno cui il pop-punk non lo disdegna? Non è ne "Fox" ne "Penguins & Polarbears" e nemmeno "No Cigar".

"Done Is Done" e "Visious Circle" portano una notevole ventata di freschezza: ritmiche prettamente rock, cantato soffice e viscerale e ritornelli che prendono bene. Da segnalare i violini e gli stacchi hard-rock nella prima, mentre la seconda è aperta dalla chitarra acustica (secondo brano in assoluto dopo "The Ballad" in cui il gruppo fa ricorso alle acustiche). Questi tra i pezzi migliori, invece la maglia nera spetta alla sfacciata "Broken World" (con dei cori fuori luogo), e ai ritmi brit pop di "Come On", (con tanto di riffing che sembra la versione elettrificata del riff acustico di "Warning" dei Green Day"), quelle di cui si poteva fare volentieri almeno.

Dopo una prima parte non molto esaltante, inizia la seconda (collegata alla prima da un pezzo strumentale di pochi secondi "Centerpiece"), e qui finalmente a tratti ritroviamo i Millencolin visti in passato.

Non a caso il picco del disco è proprio "Who's Laughning Now" il pezzo che più si avvicina a sonorità vecchie insieme all'altra coinvolgente e spensierata "Danger For Stranger" e finalmente arriva quella velocità che è mancata per tutto il disco. "Ducks And Drakes" (l'ennesima saga a livello di titoli sugli animali!) è una canzone abbastanza statica e malinconica riconducibile al  rock.

Il pezzo in anteprima del disco (che si poteva ascoltare sul loro MySpace prima dell'uscita del disco) è stato "Brand New Game" che è godibile nella sua melodicità rock a differenza del primo singolo. Questa traccia non a caso descrive un po' le varie caratteristiche e peculiarità che si ritrovano poi lungo tutto il percorso musicale. "Turnkey Paradise" è invece un po' l'emblema del disco dei nuovi Millencolin.

La chiusura è affidata a una mid-ballad "Saved By Hell" molte dolce, in cui si distingue l'assolo, per il resto niente di esaltante (siamo lontani dall'espressività romantica di "The Ballad"). In coda alla sfarzosa sfilata dei carri ci pensa un pezzo strumentale dal titolo che è tutto un programma: "End Piece".

E bene fare pure delle considerazioni a livello tecnico/strumentale. La voce di Nikola pur rimanendo inimitabile nella sua interpretazione, risulta ora essere molto più  morbida perdendo un po' l'energia degli anni passati. Le chitarre sono decisamente meno graffianti e soprattutto dimenticatevi Larzon dietro le pelli che tirava a bestia dando velocità e ritmiche frizzanti a splendidi brani come "Biftek Supernova", "Buzzer" o "Lozin' Must".

Si proprio la velocità abbinata alle distorsioni sporche e graffianti è l'elemento chiave che manca sul disco rese tali da una produzione  più levigata che ne penalizza i suoni. Se "Kingwood" era in parte un piacevole ritorno al passato, questo è più prospettato verso il futuro, anche se ad onor del vero certe atmosfere le avevamo sentite sullo splendido "Pennybridge Pioneers". Peccato solo come già detto che qui c'è proprio l'assenza di quelle grandi hit del passato. Convince molto di più la parte rock, che i componimenti più scanzonati  che tolto qualche pezzo sono troppo appiccicosi per far parte di un album a firma Millencolin.

Un album onestamente difficile da giudicare, che arriva a fatica alla sufficienza, che purtroppo manca di mordente e di velocità in più episodi. Piacerà più ai novizi del genere, che ai vecchi fan che potrebbero rimanere insoddisfatti e delusi.

 Chi invece non gli conoscesse e volesse ascoltarli faccia una bella virata su "Kingwood" che per cominciare è perfetto.

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