Stare con Sabrina comportava tutta una serie di optional non richiesti, il più importante dei quali era che, dopo averti preso selvaggio, ti avrebbe risputato circonfuso di una perfezione quasi irreale. Il fatto è che, senza accorgetene e senza nemmeno sapere come, all'improvviso ti ritrovavi in maglioncino nero, camicia bianca e taglio di capelli all'ultima moda. Ovvero come passare dalla smandrappatezza più assoluta alla copertina di Uomo Vogue in dieci mosse, anche meno. La trasformazione però non si limitava all'enorme leccata di mamma gatta per far bello il suo cucciolo, oh no, lei agiva anche sul pensiero e sui comportamenti. C'era la rieducazione, tipo la lettura del Manifesto tutte le mattine con supervisione costante delle tue idee sulla base delle sue. C'erano le terrificanti cene salutiste, un affare di stato organizzato in maniera scientifica con ospiti accuratamente selezionati e messi insieme in virtù di presunte affinità elettive note a lei sola. E infine c'erano, oltre agli svariati membri di una nutritissima claque adorante, tutte le fottutissime conoscenze giuste: l'assessore y, l'assistente sociale x, con l'aggiunta a caso di artisti del cazzo, baristi, ginecologi e chi più ne ha più ne metta. E tu, quasi avessi timbrato il cartellino, tu come un Melandri o un Hoftader qualsiasi, tu eri sempre (sempre!!!) al suo fianco. “Non vedevo l'ora che uscisse di casa per farmi una sega” disse una volta Antonello, una delle nostre più clamorose bellezze locali finita chissà come tra le sue grinfie. E, maschio alfa oramai ridotto a cosa, ne aveva ben donde.

Poi per fortuna c'era Patrizia e Patrizia era la nemesi. Ex amica divenuta nemica, era la magica tentatrice di ogni fidanzato della Sabrina, specie se risputato dopo la cura. La cosa buffa è che le due si somigliavano moltissimo, solo che Patrizia aveva sfavillanti occhi spiritati, il risolino nevrotico di una bambina dispettosa e una voce chioccia e parodistica, dotata di un controcanto roco/sepolcrale che faceva ribollire il sangue. Non solo, era anche pazza e ti parlava con l'eloquio sgangherato e dolce di un istinto femminile addizionato da pillole della felicità e da una specie di perenne incazzatura. Insomma una sistemava le cose e l'altra le distruggeva. Così, quel che capitava sempre, era che ogni fidanzato da perfettino ridiventava selvaggio: i capelli tornavano scompigliati, le camicie si spiegazzavano e sul maglioncino una bruciatura di sigaretta campeggiava orgogliosa. Con la bambola di porcellana che, cadendo al vento di un rauco e dolcissimo ridere femminile, si rompeva, giustamente, in mille pezzi.

Poi, certo, siamo su Debaser, bellezza. E quindi ci vuole una canzone, non importa se piccola...oppure si, importa eccome, e allora, vi dirò, piccola va pure meglio. Del resto la Patrizia non era certo una principessa wave come la puntuta e pretenziosa rivale. I Cure, che allora piacevano a grandi e piccini e quindi persino alle fanciulle, a lei proprio non dicevano niente. Al massimo poteva reggere Bowie, After the Gold Rush, Police e oh baby baby it's a wild world, anche se sempre a piccolissime dosi. Vuoi mettere il mare d'inverno, Lugano addio e Gianna Gianna Gianna sosteneva tesi e illusioni? E quindi, si, ci vuole una canzone, magari facendo finta di ascoltarla per la prima volta. Uno spicciolo di qualità dinamica, direbbe il filosofo. Un bicchiere d'acqua fresca, dico, più semplicemente, io. Ovvero, in soldoni, esattamente quello che era lei. Perché la Patrizia, la Patrizia era una canzone. E la Sabrina, la Sabrina era un film. E, a tal riguardo, ho una storiellina da raccontare...

Fine settanta. Immaginate dei poveri figiciotti dispersi, loro malgrado, in un oscuro campeggio di rieducazione. Alcuni di loro, ancor oggi, ricordano con raccapriccio la triste sera in cui, giocoforza, rinunciarono a una super invitante festa sulla spiaggia per sprofondare mestamente tra le pieghe del dover essere. Quel che accadde fu che, agli ordini di un'inflessibile kapò, partirono (a piedi!!!) alla ricerca di uno sperduto cineclub tra le montagne. Percorsero sentieri, attraversarono valichi aggirarono le mille insidie di una frustrazione non detta e proprio per questo più evidente, ma alla fine arrivarono in tempo all'unica proiezione di un terrificante film sovietico. Ma fosse finita li!!! Al ritorno, zaino in spalla e anima chissà dove, dovettero cuccarsi le soverchianti analisi cinefile dell'orrenda virago che li aveva costretti a quell'assurda impresa. Ecco, l'orrenda virago, una decina d'anni dopo, era assessore alla cultura, oltre che sodale della Sabrina in una cosa chiamata piano giovani. Ed era, soprattutto, una di quelle sempre presenti alle famigerate cene. Capite allora come la Patrizia fosse non solo una canzone, ma anche un bicchiere d'acqua fresca?

E comunque alla Patrizia piaceva Mina. E Mina son bei ricordi in bianco e nero, i duetti con Battisti e con il Gaber, le sigle del sabato sera.... parole parole parole.. caramelle non ne voglio più. Non solo, c'era pure l'edicola dei miei genitori dove campeggiava sui rotocalchi ogni volta con un marito diverso. Le regine erano lei e la Caroline di Monaco che allora avrei voluto sposare, ma, non so come, rifiutò. Poi c'erano “Del mio meglio numero 3”, la prima cassettina acquistata e quella canzone “Fa qualcosa”: “quando ogni giorno profumava d'avventura e bevevo gioia pura, perché tu ragazzo anche se eri totalmente pazzo, eri vero, eri vivo e anche allora io morivo, ma morivo d'allegria di poesia vicino a te”, merda, la so ancora a memoria. Si, zio Frank, lo so che pensi che la gente è così rincretinita a causa di testi di questo genere. Probabilmente hai pure ragione. Ma, che vuoi farci, nessuno è perfetto. E questi versi valgono (vi prego non uccidetemi!!!) come quelli di Sandro Penna. Comunque “Fa qualcosa” era di quelle che io e la Patrizia cantavamo a squarciagola sulla sua due cavalli gialla.

Patrizia non la vedo da vent'anni e non so dove sia finita. Della Sabrina posso invece dirvi quello che mi ha raccontato Antonello, la nostra clamorosa bellezza locale. “E' finita tra le grinfie di un qualche guru e dice di aver capito il senso della vita. Ma se quello è capire tanto vale non capire un cazzo.” Trallallà...

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