In queste vacanze primaverili, dai suoceri, in Salento, mi sono permesso di ascoltare la varietà di dischi che ci ha concesso questo 2022. Tanti. Troppi!
Resisto e ascolto band liquamose tra post-punk e becerissimo lo-fi, riuscendo al contempo ad estrarre dal cilindro carcasse di coniglio rimaste lì a ricordarci che stiamo sopravvivendo a decenni revivalisti: Non è un mistero che in tutte le arti ci si stia abbeverando agli anni ottanta e novanta come ad indicare il periodo di maggior progresso dell'umanità tutta; triste, esilarante ed esaltante allo stesso modo e nello stesso momento. Riflettiamo su questa conseguenza, probabilmente, dettata dall'esasperazione dell'interconnessione tra i popoli, o più meschinamente, dall'interconnessione con il leader capitalistico e talassocratico che ci infonde il peggio che un'Europa decadante e socialista possa assorbire.
Mi ritrovo immerso in questi pensieri che ipotizzano un oscurantismo contemporaneo (ironicamente portato dalla pluralità di informazioni e di livellamento verso il basso della critica, un tempo vista come un bene collettivo per la democrazia) e ascolto il secondo lavoro dei Moin: Paste.
I Moin sono una band inglese nata dal progetto "Giano bifronte" chiamato Raime e dalla batterista dei Vanishing Twin.
Sarò io: ultra-trentenne ma con l'animo da adolescente ma riesco a percepire un lavoro pesato in maniera decisa, coinvolgente e mentolata. Un lavoro che, se non s'era capito, pesca da quel cimitero della musica: Slint e Shellac, un post-rock che si trastulla con il post-hardcore ma anche Karate, Aerial M e Tortoise con quelle progressioni torbide e interrotte.
La citazione meno scontata è verso un certo noise-rock che si allontana dalla no-wave malcelando l'ispirazione dei Sonic Youth, ma che ci frega a noi?
L'impressione di queste band è sempre quella di un lavoro eccezionale ma senza-tempo, una specie di neoclassicismo punk che fa schifo solo immaginarlo ma che è la cosa più vicina ad una seria catalogazione.
MOIN PASTE
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