Era difficile comprendere dove si trovasse in quel momento Julian Ducatenzeile, vocalist e fondatore dei Mystic Braves, garage/surf band di San Diego, durante la composizione del loro secondo album Desert Island, probabilmente in un polo sperduto e lontano da tutta quella folla e quel caos. Quel luogo lontanissimo e quasi irraggiungibile, a volte neppure percorrendo intere vite, quel pellegrinaggio infinito senza mai trovare i confini dell’anima.
Tanto profondo è il suo logos…
Quel luogo tra l’altro ospitava anche una festa in maschera quella notte e Julian prima di suonare con i suoi mystical pirates adorava recarsi per trovare quell’ispirazione in quel bosco della baia di San Diego, parcheggiare la Limousine nera lentamente ed ombreggiata da quella fitta alberazione. Adorava attraversare in silenzio il bosco, osservare quelle strane ed inquiete scimmiette che senza un motivo saltavano da un albero all’altro. Fino ad arrivare in alto ed in quella distesa pianeggiante, con la scogliera a ridosso del mare, una leggera brezza sollievo per la fronte accaldata e quel paesaggio tardo ellenico a spezzare il fiato. A strapiombo sulla baia, quelle antiche statue classiche, erose da vento e salsedine, con quel marmo immortale scalfito dal tempo, un silenzio eterno dominava la scena e sospendeva il desiderio. In quell’attimo la visione di quelle statue ed il fugace ricordo sospeso di quella consapevolezza incosciente, della comprensione di origine e fine di tutto, nel mezzo sguazziamo noi con tutta la nostra allargata familias. Anche se nel progetto iniziale eravamo nati per essere scintillanti di luce, essere leggeri e senza peso, in pratica dei semidei infiammati d’amore.
Ma lasciamo che quella metafisica ci avvolga anche solo per una notte, sguaiata ed incosciente, accompagnati da ritmi surf e ballad psich pop senza tempo di questi mistici coraggiosi, una festa in maschera in un’isola deserta tra l’altro non è cosa di tutti i giorni, una bellissima ragazza mascherata da Uma Thurman ci nota scintillare nella coda all'ingresso del party e ci racconta che da poco è vedova e stanotte vuole divertirsi, un tizio mascherato da Ray Manzarek ci chiede se ci siamo già visti ed un altro con la maschera di Colin Blunstone ci implora se al termine possiamo dargli uno strappo in macchina... e siamo già a buon punto perché siamo in presenza di una folla finalmente senza volto ed anche più affascinante del solito, a questo punto ci mancherebbero solo i gatti d’argento ed i topi smeraldini ed avremmo fatto l’en plein. E nel mentre che uno stormo di bellezze in maschera attorniava un tipo con ottima parlantina ed una fiammante maschera di Jim Morrison, Julian apre le danze con quel gioiellino di pop barocco di Bright Blue Day Haze ed è tutto un tripudio di mani che si alzano e di spiriti che si liberano, la minaccia è dolcemente rinviata da quella fantastica traccia d’apertura, da quei multistrati di chitarra surf/funk & paisley pop travolti da ondate e sabbiate di un organo Gibson G-101 di manzarekiana memoria. E la festa si scioglie in quel psych mistico dei nostri, in quel ricablaggio delle menti, dove il pop migra verso il jazz e l’avanguardia con tutto quel bailamme di strumentazione di mellotron e fuzz box, con la title track che ci fa vibrare verso orientazioni mariachi. In questa stracittadina con i gemelli Allah-Las però non si vince nulla, si balla e si suda in anonimato, siamo noi a fare il tempo, sono i sensi le sfere dell’orologio: il bilanciere l’hanno portato in spiaggia ed il tempo non c’è più.
Eh quante ne sanno questi mistici, probabilmente sarà vero che l’anima distaccata nuota nel mare della gioia ?
E quella notte con la loro musica nuotavano nel mare di delizie fluenti della divinità, e non sentirono nessuna gioia poiché essi stessi erano gioia...
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