1978 - "And Then There Were Three"
Quanto sarebbe semplice tornare a disquisire sulla controversa svolta artistica di uno dei gruppi più rappresentativi del prog sinfonico? Quanti esperti, o presunti tali, si lancerebbero in pareri e supposizioni, creando un altro inutilissimo dibattito su una delle questioni maggiormente discusse dell'intero panorama rock dei tardi settanta? Quanti "amanti" del movimento progressive (inspiegabilmente fermi a Genesis, Yes, King Crimson e pochi altri eletti), tornerebbero a professare l'estinzione di ogni forma d'arte musicale dopo l'apocalittico 1977? Non so... Sicuramente più di quelli genuinamente interessati ad un parallelo con un'altra band fondamentale ma ignobilmente snobbata e misconosciuta: i National Health.
Non ho mai capito perché il Canterbury Sound abbia da sempre avuto questa colossale difficoltà ad essere apprezzato. Formazioni geniali ed inimitabili (emblematico il caso degli Hatfield and the North) si sono viste costrette ad arrendersi di fronte ad una disarmante indifferenza generale, tutt'altro che singolare in quegli anni, ma sorprendentemente costante nei confronti di questo jazz prog originario delle incantevoli terre del Kent.
La storia che mi appresto a narrarvi, perciò, non sarà ambientata in piazze gremite o stadi riecheggianti delle urla di una straripante folla in adorazione, ma vede lo svolgersi della sua prima scena in un pub di Southall (nella West London) gestito da un amico di Pam, all'epoca moglie del batterista Pip Pyle. Quest'ultimo, insieme al tastierista Dave Stewart, al chitarrista Phil Miller e al bassista John Greaves, era impegnato ad organizzare le tappe spagnole e italiane del tour di "Of Queues and Cures", prendendo inoltre in considerazione la possibilità di allargare le fila della band grazie alla presenza delle ex Henry Cow Georgie Born e Lindsay Cooper, rispettivamente impegnate al violoncello e all'oboe (nonché al fagotto). Purtroppo le rosee aspettative del gruppo s'infransero contro i seri rischi economici che si generarono dall'inaspettata cancellazione di alcuni concerti in Spagna, costringendo così i nostri beniamini ad effettuare talmente tanti tagli alle spese che alla fine Dave, stanco delle continue limitazioni finanziarie e perplesso dalla direzione sempre più "free" intrapresa dal complesso, decise di andarsene, facendo scappare pure le due nuove arrivate e lasciando i tre superstiti a guardarsi intorno, nella speranza di farsi venire qualche brillante idea.
Il tour venne chiaramente accantonato e i nostri passarono un po' di tempo a spremersi le meningi, provandole di tutte pur di tornare in carreggiata, finché il misericordioso Alan Gowen, avendo concluso i suoi molteplici progetti, si rese disponibile a rientrare nella band che lui stesso, tre anni prima, aveva contribuito a fondare, permettendo così ai National Health di riprendere a suonare in giro per l'Europa durante la primavera del '79 e in America nell'inverno dello stesso anno. "Playtime" testimonia appunto questo periodo, prima proponendoci delle tracce estratte da un live all'"Ouest de la Grosne" in Francia, tenutosi il 27 Aprile, poi mostrandoci i magici episodi di uno spettacolo realizzato il 1° Dicembre al "The Main Point", in Pennsylvania.
Ciò che risulta subito chiaro è quanto imponente sia l'influenza artistica di Alan, il quale, senza tante cerimonie, cambia le carte in tavola e trasforma il sound avant-prog che aveva così profondamente caratterizzato l'ultima uscita discografica, in un complesso jazz dalle sfumature morbide, che non disdegna l'improvvisazione ma resta comunque coerente ai punti chiave delle composizioni, ripercorrendo quegli itinerari tracciati in precedenza dalla musica calda ed articolata dei suoi Gilgamesh. La svolta stilistica risulta, se possibile, ancor più evidente nella riproposizione dei pezzi originariamente suonati da Dave ("Dreams Wide Awake", "Squarer for Maud"), i quali acquistano una fluidità ed una leggerezza pressoché opposte ai canoni R.I.O. e alle sonorità taglienti in cui sono nati, rendendo questo disco molto più vicino agli esordi del gruppo rispetto alle loro più recenti evoluzioni.
Nonostante la tastiera svolga un ruolo predominante, gli altri strumenti non si limitano di certo ad accompagnare, ma cercano costantemente di afferrare le instancabili dita di Alan, ora inseguite dai passi pesanti del basso di John ("Nowadays a Silhouette", apparsa in "Before a Word Is Said"), ora contrastate dagli agguerritissimi assoli di chitarra di Phil ("Play Time", precedentemente pubblicata in "Another Fine Tune You've Got Me Into"). Nemmeno la batteria di Pip si concede di rimanere in disparte, anzi sembra divertirsi a cambiare costantemente forma, passando dal ritmo delirante di brevi e convulsi intermezzi ("Rhubarb Jam" - "Rose Sob", inclusa, insieme alla bonus track "Silence", in "Accident", secondo lavoro solista di John), alle jazzate e mutevoli acrobazie che serpeggiano sullo sfondo di estesi periodi carichi d'atmosfera, ma anche a tratti difficili da seguire ("Toad of Toad Hall", successivamente divisa in due parti ed inserita in "D.S. al Coda" - "Pleiades", rinominata poi "Seven Sisters" e registrata nell'album "7 Year Itch" di Pip nel '98).
Qui termina il disco e qui si conclude pure la nostra lunga storia, che sancisce il declino di una band, oltre che di una vita (quella di Alan, che morirà nell' 81), dedita all'arte e alla creatività, la quale magari non rimarrà impressa nella memoria delle masse, ma troverà un confortevole rifugio, adagiandosi nei cuori e nei pensieri di quei cantastorie girovaghi e di quei menestrelli disinteressati al lusso delle corti, disposti ancora oggi, a dispetto dell'incontrastabile apatia regnante, a cantarne le favolose ed immortali gesta.
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